Andrea Biagioni
Ha chitarra, piedi scalzi, occhi e capelli da ragazzo (per dirla con Fossati), Andrea Biagioni, ma ha fatto un disco che già dal titolo ricorda quei vecchi film di Pupi Avati. Quelli in cui giovanotti e giovanotte di un’Italia che fu ballavano lo swing, sotto portici avvolti da vite ritorta e lucette.
Pranzo di famiglia non suona agèe, ma ha molto di profondo e introspettivo e uno sguardo rivolto all’indietro. Viaggia, per volontà del suo guidatore, con lentezza e attenzione in scenari personali, intimi, in cui Biagioni, per la prima volta in un lavoro tutto cantato in lingua italiana, racconta molto di sé, come a tavola si fa con commensali amici e vicini. E ogni traccia ha l’aspetto di una diversa portata che, in successione, dall’antipasto al dessert (con una punta di dolceamaro) ripercorre à rebours percorsi di vita di un adulto. Con lo sguardo bambino riguarda momenti di crescita, fragilità, riesamina debolezze e conquiste, ma ora lo fa con occhi nuovi e maturi, riavvolgendo il nastro del tempo. Biagioni, cantautore, polistrumentista, reduce dall’esperienza del talent (X factor) e da Sanremo giovani, si autosfida: lui, figlio del folk americano, più propenso alla lingua inglese in canto, infila otto tracce in cui fa un lavoro difficile, cimentandosi con un album in italiano che lo mette a nudo. Il risultato è un grande pastiche in cui le sonorità evocano tanti diversi ascolti imbottigliati in una sensibilità, come bottoni cuciti a doppio filo su una giacca. Si percepisce un bagaglio alle spalle e una serie di influenze quasi necessarie che, traccia dopo traccia, convergono in modo inevitabile.
Non è facile percepire chi sia Biagioni, però. Il disco alterna momenti in cui si va a petto nudo senza scudo (molto a fuoco sono Il capotreno, Violet peonie, che ti si attacca addosso immediatamente e Angela, una delle tracce più toccanti, dedicata alla nonna scomparsa), altri in cui si fa fatica a percepire una cifra personale, ma ci si nasconde dietro grandi citazioni (Alba piena, Via da me e Surferemo hanno echi lontani che ritornano). Questo un po’ dispiace. Perché è un disco che suona bene (grazie anche all’ottimo lavoro di missaggio e masterizzazione fatto da Paolo Iafelice), che lascia spiazzati e al tempo stesso rassicura, che ondeggia brano dopo brano e che già dopo i primi due ascolti ti fa cantare. Manca solo una direzione più sicura e sfacciatamente personale. Occorre rischiare. Per conto nostro, le carte sono in regola. Ai posteri.
https://www.andreabiagioni.net/
01. Alba piena
02. Surferemo
03. Violet peonie
04. Via da me
05. Il capotreno
06. Leva la rete
07. Come si fa
08. Angela (live)