L'OR
Il quarto album dei veronesi L’OR (Like Outside Rain) prova a fondere anime musicali diverse, ad avventurarsi dentro le vene di sofferenze sociali e ad acquisire una fisionomia matura. Tuttavia in questi brani si avverte quasi la paura di arrestarsi alle soglie del sussurro e di un’intimità del suono: il quartetto pesta spesso duro nella ritmica con sonorità nella pura ortodossia del pop, come se sentisse il dovere di far esplodere i brani in una qualche ballabilità da boy-band o in un allegro trionfo del pogo.
Così si sprecano le potenzialità synth-rock di Consapevole, mentre gli spunti lirici del testo e delle strofe eteree di Sfiorami, in cui i violini e lo scenario di un’Irlanda immersa nel chiarore notturno e nei palpiti amorosi potevano essere un’occasione per un brano più delicato, si perdono nel cantato AOR del ritornello; Emanuele Tinazzi, voce e autore principale delle canzoni, spinge troppo sul canale per ricercare una potenza stadium inutile e dannosa per il mood di questo brano.
Un filo di atmosfera in più si respira nel singolo Rabbia e sole e nella sua apertura a nuovi futuri di luce rassicurante oltre il tradimento e la sua zavorra oscura di delusione e dolore; le chitarre acustiche sono carezzevoli e il cantato sa mantenersi in questo caso in un sospirato pensoso, adeguato alla canzone, ma l’arrangiamento degli archi ha comunque un sapore standardizzato.
Quando poi il pezzo è ingabbiato in una traccia sociale, lo svolgimento lascia un po’ a desiderare: c’è qualche immagine felice in Febbre al silicone, ma complessivamente il testo tende a scivolare in rime vagamente risibili e altre goffaggini; brani come L’eroe o 13esima stella aspirerebbero a ritmi post-punk e a cantare dannazioni dell’alternative a vocazione pop, ma i temi della droga e della violenza sulle donne vengono attraversati in superficie con giochi di parole-metafore banali. L’enfasi del cantato riporta ad un certo pop-rock da classifica, privato però del suo innaturale, ma netto pathos in raffiche di energia epidermica, incapace di scavare nella drammaticità degli argomenti prescelti. D’altronde sembra limitato lo sguardo alle infinite possibilità di sperimentazione del rock se la band, con tante auctoritas a cui poter fare riferimento, ha scelto il Nucleo come oggetto dell’unica cover del disco, una Meccanismi colmata di tastiere da zuccheroso pop adolescenziale.
Interessanti i coretti e le leggere distorsioni delle strofe de Il rock ci ha dato un tetto, o i cenni di acuti che ogni tanto balenano in Rapporto-stabile, ma anche in questo caso i versi a tema fanno un po’ acqua (parole come «tu mi vuoi / ma non lo sai / per colpa di una vita stressante», o «tu mi vuoi, / ma non mi avrai / perché la tua famiglia è esigente» sono al limite della parodia del genere).
Spiragli di un livello superiore a cui il gruppo potrebbe aspirare, se si liberasse dell’obbligo di un’orecchiabilità pompata su volumi sparati e bpm veloci, si possono percepire nei momenti più rallentati della 13esima stella, come la sognante coda orchestrale, o nella ricetta musicale più essenziale di Buonanotte Mimì (dedicata a Mia Martini, ma così vaga da non essere sopraffatta dall’intenzione), con chitarre acustiche ed archi. Questo brano nella parte conclusiva si gonfia poi sull’onda delle chitarre elettriche, ma resta globalmente comunque il più efficace.
C’è qualcosa su cui lavorare insomma, ma anche e soprattutto il bisogno che i L’OR si rimbocchino le maniche.
01. L’eroe
02. Consapevole
03. Rabbia e sole
04. Meccanismi
05. Febbre al silicone
06. 13esima stella
07. Rapporto-stabile
08. Il rock ci ha dato un tetto
09. Sfiorami
10. Buonanotte Mimì
Emanuele Tinazzi: voce, chitarra, piano Matteo Gangini: batteria Daniele Nazzi: basso Federico Pilon: chitarra, voce Stefano Ripa: chitarre e coautore in 03 Steve Lyon: mix