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Mosè Santamaria

Risorse umane

Se si dovesse parlare di “pop d’autore” probabilmente qualcuno potrebbe storcere il naso, considerando l’abbinata come improbabile o, più rigidamente, “contro natura”; eppure neanche tanto velatamente Mosè Santamaria fa in modo che le due componenti riescano a connettersi fra loro. E lo fa non solo attraverso i testi, sicuramente di un certo spessore e quindi ascrivibili ad un approccio cantautorale, diciamo così, alto, ma soprattutto attraverso lo sviluppo musicale, che si differenzia, in modo significativo, da quanto ci si può “canonicamente” attendere.

Sarà che l’influenza di Battiato e Camisasca, mai peraltro negata, si va a fondere con la produzione di Martino Cuman (Non Voglio Che Clara), fatto sta che Risorse umane è un lavoro “leggero”, arioso, in cui il contrasto fra parola e suono diventa un elemento che, invece di creare una sorta di frattura, riesce ad amalgamare e rendere sincero e fruibile l’intero lavoro. Siamo di fronte ad un album pop, ma proprio nel senso di popolare, e quindi legato a situazioni, ambienti e luoghi differenti, non omogenei, in cui le storie narrate non coinvolgono personaggi simili, o provenienti dal medesimo retroterra, ma decisamente eterogenei, addirittura distanti fra loro ed appartenenti a mondi lontani.

Interessanti, poi, i richiami alla new wave, al primo Ruggeri e, perché no, ai Bluvertigo, a quei suoni Synth-pop chiaramente anni ’80 (il Battiato de La voce del padrone) che balzano subito all’orecchio dell’ascoltatore perché oggi inusuali o quasi dimenticati. Anche i brani più lenti, quelli che chiameremmo “ballad”, sono arrangiati in modo assai diverso da quello classico, arricchiti da tastiere e programmazioni molto “space oriented”, e creano una sorta di ambiente mistico, sognante e trasognato, eppure legato fortemente alla quotidianità, perché di ciò si parla in questi racconti. E’ indubbio che l’aver ascoltato ed assorbito parecchio cantautorato pop ha creato un forte imprinting nella formazione musicale di Santamaria, ma è altrettanto vero che a quel punto l’artista veronese ha iniziato a muoversi in modo prima tangenziale rispetto a quell’approccio, allontanandosene piano piano ed acquisendo una propria fisionomia artistica più precisa, definita e differenziata.

Un album curioso, quindi, da un certo punto di vista sicuramente “leggero”, anche perché si sviluppa con arrangiamenti molto morbidi, dalla dinamica lineare, in cui gli strumenti difficilmente calcano la mano all’interno dei brani. D’altro canto, però, i brani propongono riflessioni, spunti, simbolismi e descrizioni che obbligano ad una riflessione, o per lo meno ad una analisi lessicale attenta, considerando che i testi si sviluppano con un linguaggio tutt’altro che banale o minimale. Sia quel che sia, da un punto di vista delle definizioni, quello di Mosè Santamaria è un approccio davvero originale, e diverso dal solito, rispetto alla canzone d’autore, approccio che apre numerose ed interessanti prospettive in un ambito musicale che rischia, spesso, di avvitarsi su se stesso.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Martino Cuman, Matteo Franzan, Enrico Bellaro
  • Anno: 2015
  • Durata: 38:09
  • Etichetta: Bass Department Records

Elenco delle tracce

01. Mine vaganti
02. A Nizza (non era amore)
03. Come gli dei
04. Mata Hari
05. L’altra parte della città
06. I love you Marzano
07. I colori di Francoise
08. Passato prossimo
09. Compromessi e chiacchiere da bar

Brani migliori

  1. Mine vaganti
  2. Come gli dei
  3. I colori di Francoise

Musicisti

Marcello Batelli: chitarre elettriche, chitarre acustiche  -  Fabio Brugnoli: flauto traverso  -  Nicola Ciccarelli: batteria  -  Martino Cuman: basso elettrico, piano, programmazione, Rhodes, sintetizzatori  -  Mosè Santamaria: voce