Marisa Sannia
L'attrazione di Marisa Sannia per la poesia è ormai
cosa nota. Quando negli anni novanta la cantante sarda compie il salto e
diventa cantautrice, lo fa attraverso la riscoperta della poesia sarda passata
e presente, in dischi di grande bellezza, come "Sa oghe de su entu
e de su mare" e “Melagranàda”.
Questa volta prende un poeta
spagnolo, forse il più celebre, Federico
García Lorca, e decide di cantarlo in lingua originale. La scelta non ci
stupisce perché la sensibilità di Sannia per la poesia e la musicalità che essa
racchiude intrinsecamente non avrebbe potuto portarla a “tradire” attraverso
una traduzione. E il rispetto con cui si accosta al repertorio del grande
andaluso è testimoniato anche dalla pronuncia molto attenta, segno di un umile
lavoro di studio e preparazione. Un approccio “scientifico” confermato anche
dai puntuali riferimenti bibliografici e dall'intervento, nella traduzione dei
brani e nella scrittura di un breve commento, della prof. Laura Dolfi, insigne
ispanista.
Il libretto si apre con una frase
del poeta: «Un canto profondo, molto più profondo di tutti i pozzi di tutti i
mari del mondo, ancora più profondo del cuore che oggi lo crea, della voce che
oggi lo canta. È un canto quasi infinito, viene da molto lontano attraverso gli
anni i mari e i venti del tempo, viene dal primo pianto, dal primo bacio». E
poco importa che il “canto profondo”, el cante jondo, sia in verità il
canto flamenco. Le sue caratteristiche, così come descritte da Lorca, ben si
addicono anche ai versi, alle musiche e all'interpretazione di questo disco.
Nella voce qui non c'è lo strazio, il dolore, la passionalità del flamenco,
bensì la dolcezza, l'eleganza, la raffinatezza tipiche di Marisa Sannia, però
si ritrova un'adesione della cantante alla poetica lorchiana nel suo affondare
le radici nella tradizione della propria terra, e a livello tematico nella
scelta di versi che evocano l'infanzia, la morte, e la presenza di fiori,
alberi, di una natura che è specchio delle emozioni di chi la contempla («Los
olivos están cargados de gritos»).
Le musiche, dolci e malinconiche,
sono di Marisa Sannia, tranne due eccezioni, Amancio Prada in La canción de
la mariposa e Leonard Cohen in Pequeño vals vienés, entrambe due
piccoli classici, qui rese del tutto uniformi allo stile delle altre composizioni,
grazie agli arrangiamenti di Marco Piras.
Se vogliamo cedere alla
tentazione di considerare questo disco postumo come una sorta di testamento, in
esso leggiamo un amore dell'autrice per le tradizioni, per la poesia, la
lingua, e per la sua terra, magari cantata attraverso l'Andalusia di Lorca, che
qui non ci sembra né esotica né folcloristica, come talvolta ce la dipingono,
bensì una patria latina e mediterranea, dunque tanto nostra come la Sardegna e
l'Italia.
01.Laberintos y espejos
02.Rosa de papel
03.He cerrado mi balcón
04.El abanico
05.El niño mudo
06.Águila de los niños
07.Verlaine
08.Canción china en Europa
09.La canción de la mariposa
10.Pequeño vals vienés
11.Duerme
12.Ciudad
Fabrizio Fabiano: Violoncello
Mauro Di Domenico: Chitarre e bouzuki
Fabio Ceccarelli: Fisarmonica e flauto
Alfredo Verdini: Percussioni
Marco Piras: Piano, contrabasso e
arrangiamenti