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Daniela Pes

Spira

Chissà cosa avrebbe pensato Umberto Eco di un lavoro dalla struttura apparentemente assente come quello di Daniela Pes. Chi la conosceva vincitrice del Premio Parodi 2017 e finalista di Musicultura 2018 con il brano Ca milla dia dì probabilmente penserà di ritrovarne poche tracce nel suo disco d’esordio Spira. E invece.

E invece quella canzone sembra essere stata l’inizio di una lunga ricerca che ha portato l’artista sarda all’album con cui ha vinto la Targa Tenco 2023 nella categoria Opera prima. L’obiezione che ha accompagnato in modo più ricorrente questa uscita si è concentrata sull’effettiva mancanza di testi di senso compiuto. Impossibile negarlo, tecnicamente quelle di Daniela Pes non sono canzoni nel senso primigenio del termine, perché mancano di una parte testuale codificata. In ogni caso, però, una parte verbale c’è e ha un peso emotivo sia per chi canta sia per chi ascolta. Ciò che conta è che questa distruzione del logos della canzone sorprende per coerenza e per efficacia, in un mondo in cui la canzone stessa subisce il costante appiattimento culturale della società che la produce. Quello di Daniela Pes è un disco incomprensibile perché non c’è un testo da interpretare con una grammatica? No. È comprensibile tanto quanto un qualsiasi disco di world music che recupera lingue esotiche e remote che, per un popolo che fatica a comprendere l’inglese, potrebbero causare lo stesso livello di freddezza nell’ascoltatore. Certamente non è un disco di ‘canzoni’, ma non è affatto un disco privo di potenzialità narrative. Si può definire un disco sbilanciato, volutamente, verso la parte compositiva e produttiva, col rischio comunque di banalizzarne l’essenza che l’artista riassume nell’espressione “drammaturgia sonora”. Un lavoro che richiede un patto tra artista e ascoltatore, tra fruitore e opera d’arte.  Come diceva Adorno, la musica non si compone solo di fatti tecnici ma anche di un elemento non visibile, che dà la possibilità a questa forma d’arte di smarginare proprio per la percezione dell’ascoltatore. Così un rumore, o una sequela di suoni, possono diventare un racconto. Dove c’è dramma c’è azione, dove c’è azione c’è racconto.

 

Il percorso di Daniela Pes comincia ad acquistare peso a livello produttivo tra il 2017 e il 2018. Sta lavorando alla messa in musica di poesie in gallurese. Un’operazione che ha le movenze del recupero linguistico ma che già in quel momento è più uno studio sul suono al di là dell’aspetto comunicativo del testo. Per cercare una strada più chiara la Pes si rivolge a quello che, di fatto, è l’artista sardo contemporaneo più importante: Iosonouncane (la stessa Pes aveva proposto una personale versione di Carne, dal disco “Die”, al Premio Parodi 2017). È il 2019, la pandemia è alle porte, e i due cominciano a collaborare: mentre sta nascendo Spira, Iosonouncane (Jacopo Incani, classe 1983) sta scrivendo “Ira”. Il suo terzo album. Questo parallelismo è tangibile nell’esordio della Pes, di cui Incani è produttore artistico. Il cantautore sardo entra nella scrittura della musica di Ora e di Arca, e le sue macchinazioni sintetiche fanno da sfondo a una concentrazione sul suono tout court.

In Spira si trovano frammenti di una lingua ancestrale come il gallurese del Settecento, quella resa poetica dal Catullo di Gallura Gavino Pes, mescolata a un insieme di segni fonetici privi di codice. Nella costruzione dell’album, poi, Daniela Pes ha lavorato sul proprio timbro e si è concentrata anche sul suono della propria voce. Contiene la tragedia, intesa proprio come “canto del capro”, e lo spirito vitale, inteso come aulos, come emissione di fiato e voce. Spira, appunto. Quello di Daniela Pes è un disco paesaggistico che si avvicina a racconti filmici di Franco Piavoli o di Tarkoswkij, un’opera in cui la voce è usata come strumento su tecniche jazzistiche, data anche la formazione della cantautrice.

Daniela Pes infatti vive su un sostrato di jazz e canzone d’autore, arricchito da un interesse per la produzione del Mediterraneo centrale e orientale. Il voicing di A te sola, ultima traccia dell’album, forse sintetizza tutto il lavoro compositivo e produttivo da cui è nato questo disco. Una suite divisa in tre parti diverse. I brani della Pes hanno spesso un lato A e un lato B e, nel suo gioco estremamente serio di destrutturazione, una struttura ce l’hanno eccome.

 

Un lavoro del genere, probabilmente, poteva venire fuori solo dalla Sardegna. Il disco è stato scritto lì, durante il lockdown. Un’isola vuota di per sé, svuotata dalle procedure e che diventa praticamente lo spettro di sé stessa. Uno spettro che si aggira in tutte le canzoni di questo lavoro, in cui la destrutturazione della forma canzone e la decostruzione semiotica creano un balletto cosmico, una scrittura molecolare che basa le sue suggestioni sulla fonetica. Daniela Pes canta la lingua degli oracoli e la mescola a una produzione di respiro internazionale, musica paesaggi teatrali che potrebbero stare nelle produzioni di Romeo Castellucci e della Societas Raffaello Sanzio. Non è un caso, forse, che una delle date di punta del tour (organizzato da Panico Concerti) sarà quella del 21 settembre al Romaeuropa Festival, da sempre luogo di sperimentazione e di contaminazione tra le arti performative. Come Teho Teardo aveva preso spunto da Charles Fréger per il suo disco “Music for Wilder Mann”, anche qui si percepiscono altri spettri, quelli delle maschere ancestrali e della natura selvaggia in cui si staglia un’operazione culturale che suona quasi come una delicata ma grintosa intromissione.  

Il disco attraversa ere piene, dal passato della Gallura alla contemporaneità dei suoni sintetici ed elettronici, fino alle immagini di una sorta di futuro cosmico e deserto. Il lavoro della Pes ricalca la visione di Jeanne Hersch, che pensava alla musica come a una miniatura d’eternità, una piccola durata che non passa e che non scorre proprio per la presenza del pensiero e della melodia. E questo succede con i testi, ma anche senza.

Foto di Piera Masala

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Iosonouncane
  • Anno: 2023
  • Durata: 38:28
  • Etichetta: Tanca Records

Elenco delle tracce

01) Ca Mira

02) Illa Sera

03) Carme

04) Ora

05) Làira

06) Arca

07) A Te Sola

Brani migliori

  1. Carme
  2. A Te Sola