Maria Antonietta
«Tutte le mie canzoni parlano di un solo cazzo di argomento / della mia incapacità di accettare la realtà», riconosce Maria Antonietta / Letizia Cesarini in Estate ’93. E tant’è. Archiviata l’esperienza musicalmente in parte più levigata del twee pop degli Young Wrists e italianizzato il moniker del suo debutto solista autoprodotto del 2010, la Nostra, già indieroina mortuaria delle passioni autolesioniste, torna in un nuovo, chiacchierato esordio in italiano ad incarnarsi in icone agiografiche e ad immedesimarsi nell’esposizione necessariamente impudica delle ferite dei martiri. Per una vocazione (che è croce, bisogno liberatorio e delizia) all’introspezione disperata e ossessiva come autopsia dei propri fallimenti e all’esibizione della purezza irresponsabile della condanna all’errore.
Tra Santa Caterina, l’ombra dell’amata Giovanna D’Arco e Maria Maddalena, appunto non si può intravedere alcuna presunta santità di Letizia, che, con un’aria da lolita perduta e incosciente, ammette un’implosione di desideri impuri, l’aspirazione delusa all’esclusività e un’anomia/abulia sessuale masochista, simbolo di un’inquieta e vana ricerca di sé stessi e di un unico amore/amore unico. Maria Antonietta denuda i suoi sbagli in un immaginario spensierato-dannato da gioventù bruciata, con una foga ad esaltarsi nel distruggersi e un linguaggio scabro.
Guarda allora agli spasimi uterini e alle lacrime di mascara di Courtney Love, ma la tradizione astratta della nostra lingua (che sarebbe risuonata quasi banalmente licenziosa nella traduzione del delizioso titolo estetizzante del primo cd, Marie Antoniette sucks young blood) trasforma le provocazioni di un solo apparente cinismo in un ribaltamento al femminile di formule da fotoromanzo come «volevo solo portarti a letto». Lungi dal liberarsi con l’abbandono dell’inglese, appare poi impigliata nello spontaneismo e limitata la sensualità di versi come «mi prendo un’aspirina / secondo te cancellerà il sapore della tua saliva / o il fatto che non ho capito un cazzo della vita?» (Saliva).
Maria Antonietta ora si trova i versi di traverso in gola, in un cantato che ha partorito un accostamento straniante per referenti musicali più che divergenti come quello con Giusy Ferreri, ora impasta molto più piacevolmente le parole tra la saliva e il pianto isterico, a compiangere con una dolorosa vocalità salmodiante smithsiana la sua mancata comprensione delle meccaniche della vita e del negarsi al desiderio («Quando mi telefonavi per scopare avrei dovuto dirti / “stasera ho da fare”», recita Stasera ho da fare, brano voce e tamburello a un ritmo sovreccitato da flagellazione). Ora vira verso crisi manifesta e urla alterate, ma la trascrizione del delirio di umori diventa brutta grafia da mettere ancora in bella in musica. Sì, certe distorsioni laviche e certi graffi quasi sanguinosi alla gola non sono molto comuni in italiano (Santa Caterina, Tu sei la verità non io), ma siamo lontani molte migliaia di km dall’acidità nervosa e la tensione orgasmica di Kim Gordon e dal noise-rock dei Sonic Youth; molto meglio i momenti in cui Maria Antonietta importa nella canzone italiana note di organo e ritmiche post-punk, come nel singolo Quanto eri bello, approda tra le note di violoncello e di flauto di Saliva, ci affonda nell’oscurità sanguigna del basso di Motel, oppure si immerge nella falsa solarità da sunshine pop 60’s di Con gli occhiali da sole e nei suoi ricordi arrossati da Polaroid un po’ brunoriana, tesi in quel «Se ci penso troppo forte / penso che potrei morire».
Inoltre nella replica in studio e nella replicabilità infinita di un disco, la visceralità delle grida volutamente sgraziate di Letizia si fa comunque inevitabilmente recitata, laddove diversa è l’esperienza re-live più calda e fisica del palco… Non mancano poi nell’album eccessi di lo-fi ostentatamente indie da cameretta (Questa è la mia festa), mentre l’immagine in shorts o maglietta fina sembra da calendar-girl. E non crediamo che Letizia abbia voluto bruciare il suo diario sull’altare del business.
Santificando fragilità ed errori, Maria Antonietta forse è sì rivelazione, ma il miracolo è ancora lontano.
01. Questa è la mia festa
02. Con gli occhiali da sole
03. Estate '93
04. Quanto eri bello
05. Saliva
06. Maria Maddalena
07. Santa Caterina
08. Stasera ho da fare
09. Stanca
10. Motel
11. Tu sei la verità non io
12. Alla felicità e ai locali punk
Letizia Cesarini: testi, musiche, chitarra elettrica in 11, chitarra acustica in 01, 05, 06, piano elettrico in 12 Dario Brunori: chitarre elettriche e acustiche, cori in 12, produzione artistica Matteo Zanobini: supervisione artistica Vladirir Costabile: basso Giusto Correnti: batteria, percussioni Dario Della Rossa: tastiere Stefano Amato: violoncello Simona Marrazzo: cori in 10 e 12 Giovanni Imparato: cori e seconda voce in 12 Mirko Onofrio: flauto in 05 In 11 compare una citazione da Umidi, canzone di Lorenzo Pizzorno