Fabrizio Bosso & Antonello Salis
Lo stuntman, com’è noto, è chi si
sostituisce all’attore nelle sequenze pericolose. Chi non si tira indietro di
fronte al rischio, in altre parole. Il titolo di questo album, Stunt (bravata, azzardo, acrobazia), è
dunque quanto mai pertinente: qui ci troviamo di fronte all’incontro tra due
autentici stuntmen del jazz nostrano,
due funamboli che, con un talento del tutto fuori dal comune hanno saputo
cavalcare da protagonisti la scena musicale contemporanea. Ma lo stunt, l’azzardo, sta anche
nell’abbinamento: Salis e Bosso, entrambi virtuosi esuberanti,
scintillanti, hanno caratteri ben diversi, forse persino antitetici. Il primo,
pianista-fisarmonicista ribollente, netto nel tocco e incalzante nel fraseggio
(sia pure con una progressiva riscoperta dell’elemento lirico, a tratti quasi
disarmato), affonda negli anni settanta, nell’eredità free, laddove il secondo, arrivato vent’anni dopo in un clima di mainstream aggiornato, talora ipertecnico, ha
potuto curare di meno una propria dimensione originale. Il lirismo di Salis
trae origine da un retaggio popolare (la sua Sardegna, per esempio), quello di
Bosso è più mediato, “lirico” anche proprio nel senso di operistico, qua e là
quasi cinematografico (tratto non estraneo allo stesso Salis, del resto, ma su
un altro piano). Il post-moderno dell’uno è di segno sperimentale, quello
dell’altro più riepilogativo e lessicale.
Come
funziona, dunque, l’intreccio? Benissimo. Il disco è scoppiettante, rigoglioso,
spesso autenticamente eccitante. La struttura, certo redatta molto
all’impronta, prevede ampie arcate politematiche in cui un brano firmato (sicuramente
a posteriori) Salis/Bosso funge da prologo/intercapedine per uno “oggettivo”. E
qui si va da trafficatissimi standard jazzistici a canzoni italiane (due, della
premiata ditta Garinei & Giovannini, una, Roma non fa la stupida stasera, su musica di Trovajoli, l’altra, Domenica è sempre domenica, di Gorni
Kramer, entrambi jazzisti fin nelle midolla), a temi che i jazzisti hanno
annesso al loro repertorio come Bésame
mucho e Mack the Knife (dall’Opera da tre soldi brecht-weilliana). Un
disco, insomma, che è un vulcano in perenne eruzione, col mestiere che ha di
rado il sopravvento sull’invenzione, un Salis sempre al piano (manipolato e
canticchiato, com’è sua abitudine) tranne gli ultimi quattro brani,
fisarmonicistici, e un Bosso che si trastulla (forse persino troppo…) con
l’elettronica, venendo qua e là a somigliare a un Paolo Fresu (per il resto
diversissimo), che di Salis è partner storico. Ascoltare per credere.
01. Caduta libera
02. Body and Soul
03. Moschito's Chase
04. Roma non fa la stupida stasera
05. Tibet
06. Caravan
07. Stregati
08. Georgia On My Mind
09. Solo un incubo
10. Mack the Knife
11. Before Sunday
12. Domenica è sempre domenica
13. Burst Blues
14. Bésame mucho
Fabrizio Bosso:
tromba, elettronica
Antonello Salis:
pianoforte, fisarmonica, percussioni, oggetti