Dopo un ep e un album in italiano, la cantautrice friulana Giulia Daici ha deciso di pubblicare alcuni brani composti dal 2002 ad oggi nella lingua della sua terra, omaggiata anche nel suo simbolo, le aquile, nel titolo del lavoro, Tal cîl des Acuilis ("nel cielo delle aquile").
Sì, è il caso, infatti, come è noto, di non parlare di dialetto nel caso del friulano, ma di lingua, che, come ampiamente asserito e dimostrato da Pasolini, conserva e ancora è in grado di dischiudere una bellezza primigenia e vergine, una musicalità intrinseca nel suono fresco delle sue vocali aperte e in quello melodioso delle consonanti.

Riconosciuta come lingua minoritaria storica, il friulano in musica ha trovato espressioni raffinate nei dischi di cantautori come Luigi Maieron e Loris Vescovo ed è sale che dà sapore alle canzoni di questo album, secondo classificato alla Targhe Tenco 2013 per il miglior album in dialetto.
La cifra principale del disco, in contraddizione solo apparente con la metafora precedente, appare la dolcezza e la delicatezza che colorano la voce di Giulia (soave, ma anche suadente), le trame di chitarra, gli archi sintetici, il pianoforte carezzevole, talora dotato di eleganza vagamente jazzata, così come i testi.

Sonorità piuttosto classiche, a metà strada tra pop e cantautorato folk, accompagnano parole che disegnano «piçulis emozions», sentimenti semplici e realistici raccontano aspirazioni egualitarie e slanci solidaristici, per rispettare il lavoro delle mani e le voci delle piazze, oppure ancora spesso si perdono nello splendore della natura che è parte integrante del calore e delle piccole meraviglie di un microcosmo intimo, tra cieli che si arrossano, il calore del camino, stelle bambine figlie della luna (a cui danno voce i bambini della Scuola Primaria di Artegna e del Gruppo 'In Arte… Buri' di Buttrio, centri in provincia di Udine), profumi montani e vividi, teneri squarci di quotidiano in cui ritrovare il ricordo di un nonno (in No tu sês), e un "mâr di vert e di papavars" ("mare di verde e di papaveri"), in cui cercare il coraggio di tuffarsi per vivere pienamente la propria vita.

Quello raccontato dalla Daici, autrice di musica e testi di sette brani su dieci, da Simone Rizzi, che ha firmato altri tre brani (oltre ad essere produttore artistico e musicista del disco) e da Ilva Valusso, coautrice con Giulia dei versi della ballata d’amore Scusimi, è "un mont che al sa / gjoldi di ogni butul cence sberlâ" ("un mondo che sa godere di ogni gemma senza urlare"), popolato di creature fatte di "aiar" ("aria"), palpiti e sensazioni, spesso intriso di poesia. Tra le tracce del disco menzione d’onore ad Aiar, brano dai suoni acustici e minimali e dalla lievità quasi incantata, nel chiarore della "lûs che e cjante" ("luce che canta"), alla quieta, ferma e a tratti quasi persino solenne luminosità di Gnots d’unvier e alla serenità nostalgica di No tu sês.  

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