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Tano & L’ora D’Aria

Tano & L’ora D’Aria

Opera prima per i Tano & L’ora D’aria, che hanno alle spalle però un EP e una gavetta da teatro che non li rende certo degli sprovveduti. Nonostante la tipica usanza rock di chiamare il primo album col nome del gruppo, Tano Mongelli e il suo gruppo non sono rock, ma si discostano decisamente anche dalla musica leggera, e sono troppo teatrali per essere canzone d’autore o forse sono troppo teatrali per essere solo musica. Se è vero, come diceva John Cage, che dal ‘900 esiste solo il teatro, loro mettono in scena una pantomima arzigogolata di personaggi e figure, strambi tipi che affollano un universo chiuso in un bunker sonoro mentre fuori si accapigliano per un pezzetto di terra bruciata da esplosioni nucleari.

C’è anche chi ha ipotizzato, senza per altro dimostrarlo, che l’album sia un concept, e che quindi sia sempre la stessa figura a trovarsi in tante situazioni diverse, ma sempre con un bel buttafuori sonoro all’esterno. Sì, perché quello che spiazza all’ascolto è la diversità di temi musicali, la ricchezza di gesti armonici e ritmici, la variazione della timbrica che raramente si ascolta di questi tempi in cui la maggior parte degli artisti timbra il cartellino della propria fabbrica di genere generosa prima di fare il sound-check. La soluzione è molto semplice: non sono tanti personaggi eppure sì; non è un concept album, eppure sì; è il palco di un teatro, in cui un attore, sempre lo stesso attore, veste di volta in volta i panni di una situazione diversa, passando da volpe a padre di famiglia, da predicatore ad avvocato, da latin lover a deluso d’amore. Rimane però sempre se stesso, senza per altro esserlo mai: gli attori nati non riescono mai a essere se stessi veramente; o forse sì, magari a casa, in famiglia, con le persone che amano, ma mai in pubblico; essi assumono ogni volta una forma nuova, come in un teatro pirandelliano delle maschere, cioè delle persone, o più semplicemente come un Corrado Guzzanti che si muove tra miliardi di specchi senza vedere mai veramente il proprio volto.

Per questo è significativo un brano come Più Bello da Nudo, in cui il narratore racconta e mostra tutta la sua voglia di presentarsi nudo al mondo, pur di essere qualcuno agli occhi degli altri. E la cosa straordinaria è che la musica, in questo pezzo così come in tutti gli altri, diventa un vestito perfetto per la situazione comunicativa, attillato molte volte, mai ingombrante e sempre funzionale. Quando per esempio in Pelo e Contropelo (che tra l’altro ha un videoclip esilarante) il protagonista si taglia, è la musica stessa a tagliarsi, a strapparsi non in modo improvviso, ma come climax a cui si stava giungendo e che forse forza la storia verso uno strappo semantico e sonoro che ci libera dalla maglia di un pop sempre uguale ed edulcorato.

Non è poi tutto ironico e scanzonato, ma come dicevo si toccano corde profonde e tragiche dell’animo. E infatti c’è anche il momento beckettiano, il salto mistico verso la profondità in Se Non Canta il Gallo, anche se la migliore dell’album rimane l’altra scena tragicomica e grottesca di Naftalina, con tanto di dialogo tra l’io e gli scheletri nell’armadio. Quindi scene di varia natura, proprio come in un varietà, o meglio in un cabaret Voltaire, che dà il massimo della sua profondità in una Svizzera intelligente, mentre attorno l’Europa stupida si massacra.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Gaetano Mongelli
  • Anno: 2018
  • Etichetta: Autoprodotto

Elenco delle tracce

01. Dacci oggi
02. Salsapariglia
03. Una cortesia
04. Tumban
05. Pelo e contropelo
06. Il fascino della divisa
07. Più bello da nudo
08. Gazza ladra
09. I diavoli blu
10. Se non canta il gallo
11. Naftalina
12. L’avocado

 

 

Brani migliori

  1. Pelo e contropelo
  2. Più bello da nudo
  3. Naftalina