Un pugno di classici, da Moanin a Blue Moon, ed ancora Dat dere di Nat Adderley ed Oscar Brown Jr., un’improvvisa quanto piacevole ventata beatlesiana, Michelle e Can’t buy me love, una sorprendente cover di Maniac, che da pezzo decisamente pop diventa un brano jazz dallo swing elegante ed arioso, ma soprattutto, finalmente, ben quattro pezzi originali, la prova decisiva del fatto che Nick The Nightfly e la sua Orchestra possono davvero rappresentare un interessante esempio di “Big Band” made in Italy.
Una sezione fiati poderosa e dal groove pieno e corposo, una ritmica che si adatta con sorprendente facilità al variare dei pezzi creandone con attenzione la dinamica, gli strumenti elettrici che si preoccupano principalmente di arricchire i brani senza eccessi, la voce sorniona e calda del leader, che si concede un piacevolissimo duetto con Sarah Jane Morris nel brano d’apertura, insomma un mix distensivo e affascinante, a mezza via fra il jazz club e la soirèe teatrale, con la classe e l’eleganza della grande orchestra.
Iniziata di fatto come esperienza radiofonica questa avventura musicale, complice anche la nascita, a Milano, del Blue Note, locale di lunga e solida tradizione jazzistica soprattutto negli States, ha avuto sviluppi invero notevoli, divenendo una sorta di apripista per l’indubbio ritorno di interesse nei confronti delle big band stile anni ’30 e ’40; ed ospiti quali la Morris e Paolo Fresu, musicisti dalla fama più che consolidata, non hanno fatto altro che dare ulteriore visibilità ad un fenomeno che, caso piuttosto interessante e singolare, non attira solo attempati jazzofili di “lungo corso”, ma anche giovani neofiti, attratti da questo approccio “vintage” dal sapore retrò che indubbiamente ha avuto ed ha tuttora una notevole carica.

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