The Great Northern X
L’album d’esordio oggi è fondamentale. Lo è molto di più di quanto non lo fosse negli anni Settanta, quando ad un artista veniva data più di una possibilità per farsi conoscere, maturare e quindi convincere chi ascoltava. Ormai non è più così da tempo. Oggi quando esce il tuo primo disco devi fare in modo che questo dica subito chi sei, che segni una strada (meglio se nuova), che si distingua dal resto, e poi se poi tutto questo convince anche chi è dall’altra parte e ascolta, hai fatto bingo.
Ecco, i The Great Northern X con questo primo album omonimo hanno proprio fatto bingo.
Sono un gruppo padovano, nati un paio di anni fa dall’unione di due progetti diversi, Flap e Art of the Wind, e questo è proprio il caso di dire “quando il tutto è più della semplice somma delle singole parti”. Le influenze musicali che si rintracciano in questo quartetto veneto, che canta in inglese, sono talmente tante che ad elencarle tutte ci vorrebbero troppe pagine, quello che però si può certamente dire è che si muovono in uno spazio sonoro fatto principalmente di folk-rock, incorniciato da chitarre distorte, con una vicinanza molto forte con il mondo musicale di là dell’oceano.
Sette brani, perfetti nella loro sequenza, nulla di superfluo, nulla di estraneo. Apre Song of Wool e immerge subito chi ascolta nell’atmosfera sonora che sarà di tutto il disco; i tre brani successivi, Saigon, Loser song e Stranger, sono piccoli gioielli, più evocativa la prima, malinconica e rabbiosa l’altra. Stranger merita qualche attenzione in più, salendo di diritto al primo posto del podio come brano migliore dell’album: una voce sottile per un’interpretazione intensa e toccante, strofe delicate che fanno da contrappunto ad un ritornello più potente, ed un finale strumentale degno del miglior rock di matrice americana.
Quell’amore per il mondo musicale statunitense è ancora più evidente nel brano Sickness of the great nothing, l’andamento tipicamente folk, l’accoppiata acustica-armonica sul finale, il testo che si muove sulle linee che furono di Dylan e Simon and Garfunkel.
Atmosfere aeree, linee melodiche sostenute da interpretazioni impeccabili del frontman Marco Degli Esposti, sapiente uso dello strumento chitarra, con l’acustica a fare da contrappeso alle distorsioni dell’elettrica; un raccordo emozionale fatto di introspezione, delicatezza, istanti fuori dal tempo. Un bel disco d’esordio, uno di quelli che già al primo ascolto convince ed emoziona.
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01. Song of Wool
02. Saigon
03. Loser song
04. Stranger
05. Rat
06. Sickness of the Great Nothing
07. The seventh tale
Marco Degli Esposti: voce, chitarra elettrica, chitarra acustica, banjo Filippo Arzenton: chitarra elettrica Cristian Arzenton: voce, basso Fulvio Veronese: batteria, percussioni