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Virginiana Miller

The unreal McCoy

“Ora, in questo 2019, abbiamo due notizie da darvi. Prima quella cattiva: in italiano non abbiamo più voglia di dirvi niente. Quella buona però è che siamo lieti di accogliervi nel nostro nuovo mondo immaginario. Nell'immaginario del nostro mondo nuovo”. (Virginiana Miller, dal comunicato stampa, marzo 2019)

“Ciò che è, già da tempo ha avuto un nome”. (Ecclesiaste, IV-III sec. a.c.)

“Tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo” (Ecclesiaste, IV-III sec. a.c.)

“Un cow-boy con due occhi d'acciaio/ con due pistole qui/ due gambe diritte e nervose/ Mc Coy due peluzzi qui.” (I Gufi, 1968)

Tornano i Virginiana Miller, a 6 anni di distanza dall’apocalittico (e celebrato) Venga il regno, ma è come quando un figlio, che non si vede da tanto tempo, torna a casa solo per prendersi la roba del mare, un bacio e via. Tornano per ripartire, i Virginiana, dopo essersi organizzati il loro personale esilio. “In italiano non abbiamo più voglia di dirvi niente”. Scusate se ci torno su, ma il fatto è che, sapete, i Virginiana Miller non sono solo un gruppo che ha sempre cantato in italiano, fin da un’epoca in cui, per un gruppo rock emergente, farlo non era esattamente cool (prego consultare l’elenco dei vincitori di Arezzo Wave a cavallo tra anni ’80 e ’90).  Di gente che canta nell’idioma di padre Dante, oggi invece ne è pieno il màr.

No, dicevamo: i Virginiana Miller sono un gruppo che, grazie ai testi del frontman Simone Lenzi, da qualche anno anche notevolissimo scrittore, ha usato questa nostra lingua come pochi, osando densità semantiche e lessicali su cui poi si sono esercitati professori di Università americane, una cosa, converrete, non esattamente da tutti. Un gruppo da ascoltare testo a fronte, insomma. Ci siamo capiti.

Bene, per chi ama i Virginiana Miller (non moltissimi- ahi Italia serva di dolore ostello, cantava quel tale di cui sopra- ma quei pochi tosti come pochi), The Unreal McCoy, un disco interamente in angloamericano, rischia di essere ciò che rappresentò nel 1984 l’uscita di Creuza de ma per gli appassionati di De Andrè . E anche qui ci siamo capiti, credo.

Eppure, nonostante l’importanza di questa svolta, nessun video ad accompagnare l’uscita del singolo (dovrebbe essere di prossima pubblicazione, ma intanto è già volato un mese), e il sito ancorato al disco precedente. Insomma, tutto molto low profile (o, se preferite, “marketing suicida”), come in fondo sono sempre stati questi livornesi mai del tutto a proprio agio nello showbiz, tanto che, quando erano lì lì per entrarci (all’epoca del primo Gelaterie sconsacrate), pensarono bene di pubblicare poi un secondo disco difficile e scorbutico come Italiamobile, e buona lì.

Ma andiamo al punto: cosa ci dicono i Virginiana Miller, oggi, al di là della lingua che usano?

Semplicemente, parafrasando un capolavoro di Giovanna Marini, ci parlano dell’America. Anzi, sulla scia di suggestioni che da John Steinbeck viaggiano fino a Corman McCarthy, passando per certo cinema e, inderogabilmente, per certa musica, ci portano direttamente dentro le vene dell’America, quel vasto spazio dell’Immaginario (e non può essere che tale) in cui i veri eroi, al di là della retorica patriottarda, sono infine i perdenti, i losers. Anche perché dall’altra parte ci sono i bozos, i figli dell’America paranoica che uccidono amori a colpi di secondo emendamento (vedi il singolo Lovesong). E McCoy, the unreal (= “incredibile”, ma anche “irreale”, nome forse suggerito, azzardiamo, da “The real McCoy”, album del pianista McCoy Tyner, 1967) è appunto la presenza fantasmatica che aleggia per tutto l’album, il cowboy disarcionato dalla vita: “Riding a clotheshorse in the prairie” cioè, nella traduzione dello stesso Simone Lenzi, a cavallo di uno stendino nella prateria”. Notare, please, a dimostrazione delle densità semantiche di cui sopra, come dall’etimo di clotheshorse, “cavallo da abiti”, si emani la splendida metafora.

Ma la scelta dirimente dell’americano, probabilmente non definitiva (nonostante quel “più” del comunicato stampa), e di questo macrotema, ha ripercussioni inevitabili sulla veste musicale di questi nove pezzi, che esplorano quel genere definito “Americana”, in un’accezione che va da Johnny Cash a certi R.E.M., dai Wilco a Neil Young (chissà se l’omonimia di Albuquerque è un caso), ma senza facili calligrafismi, dal porto di Livorno, anche perché, come insegnava un loro nobile concittadino, “non c’è più l’America. Non. C’è. Più”.

Tutto ciò consente ai Virginiana di ricercare altrove quella leggerezza che gli mancava da anni, spingendosi fin dove anche lo stesso Mahmood ha avuto, pare, qualche scrupolo: il clapping. Lo fanno in Old baller, un pezzo che sfoggia anche un basso dance della madonna. I Virginiana Miller. Un basso dance. Se mi capite. Pensate anche a una ballata appacificata come Soldiers on leave, oppure a una canzone con il refrain in levare apparentemente sbarazzino come The end of innocence: qualcosa mi dice che in italiano non l’avrebbero fatte, non in questo modo.

E’ esattamente qui che risiede il grande merito di questo album, il motivo per cui anche i fans delusi dal capirci poco e nulla (la MWL - Miller Widow League, come scherzosamente scrivono i Virginiana sulla loro pagina FB), sconcertati dall’inaspettata scelta linguistica, dovrebbero dargli fiducia, farlo girare ripetutamente nello stereo, rispolverare il vecchio vocabolario del liceo, assaporare quella disincantata malinconia che solo questi sei qua sanno infondere in quella cosa chiamata canzone e, poi fatto tutto ciò, inabissarsi nel nuovo mondo che i Virginiana hanno apparecchiato per noi.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Ale Bavo
  • Anno: 2019
  • Durata: 37:00
  • Etichetta: SANTERIA/Audioglobe

Elenco delle tracce

01. The unreal McCoy
02. Lovesong
03. Old baller
04. Motorhomes of America
05. Christmas 1933
06. The end of innocence
07. Soldiers on leave
08. Toast the asteroid
09. Albuquerque

Brani migliori

  1. Motorhomes of America
  2. Christmas 1933
  3. Soldiers on leave

Musicisti

Antonio Bardi: electric and acoustic guitar - Daniele Catalucci: bass, backing and harmony vocals - Giulio Pomponi: acoustic and electric piano, synth, farfisa, keyboards - Matteo Pastorelli: electric, acoustic and steel guitar, Synth, Mini theremin - Simone Lenzi: lead vocals - Valerio Griselli: drums Guests: Ale Bavo: synth on The unreal McCoy -  Ada Doria, Daniela Bulleri: harmony vocals on The unreal McCoy - Andrea "Ciro" Ferraro: harmony vocals on Soldiers on leave -  Matteo Scarpettini: percussions on Old baller, Motorhomes of America, Christmas 1933, The end of innocence, Soldiers on leave, Toast the asteroid, Albuquerque)