Franco D’Andrea
Compirà i tre quarti di secolo il prossimo 8 marzo, e forse proprio in virtù dell’età non più verdissima (peraltro coincidente col periodo con tutta probabilità più fecondo della sua lunga carriera) Franco D’Andrea ha preso a celebrarsi con generosità (in realtà, conoscendolo, non è certo lui a volerlo, quanto piuttosto chi gli sta intorno, fotografando lo svolgersi di una storia artistica che ha dell’incredibile, per longevità creativa). Se qualche anno fa avevamo definito un monumento il doppio Traditions and Clusters, oggi quel concetto si amplia e riconferma ancora più marcatamente: qui i dischi sono tre, a documentare veramente a 360° l’attuale fase della musica targata D’Andrea.
L’uomo che si fece le ossa nella Bologna (dove studiava) dei primi anni Sessanta gomito a gomito con Lucio Dalla e che nel decennio seguente è stato parte del massimo gruppo italiano di jazz elettrico, il Perigeo, percorrendo per il resto traiettorie assolutamente personali, attorno ai settanta (anni suoi, in questo caso) ha inaugurato, complice una disponibilità di produzione discografica invidiabile, una nuova, ennesima primavera. Questo triplo album lo ribadisce con forza, proponendocelo nelle sue tre principali sfaccettature: il piano solo, il gruppo stabile (anzi la somma di due: quartetto più trio, dove 4+3 fa 6, perché lui, ovviamente, figura in entrambi) e le collaborazioni estemporanee (che estemporanee sono fino a un certo punto), quindi la voglia (anzi il piacere) di rischiare.
Il primo dei tre CD è proprio quello che illustra quest’ultimo profilo, effigiato dal trio col trombettista americano Dave Douglas e col veterano, vulcanico batterista olandese Han Bennink (chissà come avrà digerito, lui, calciofilo di antica fede, l’eliminazione degli orange dall’europeo?). Una primizia, anche se con entrambi D’Andrea aveva già collaborato, in un paio di casi avendoli anche tutti e due ospiti di propri concerti. Loro si conoscevano poco: si sono annusati e hanno capito che, con Franco in regia, le cose potevano marciare a dovere. Detto fatto: gli otto pezzi (come in ciascuno degli altri due CD, curiosamente) sfoggiano un brio, una capacità di reciproco ascolto, di sana voglia di camminare sul filo (come i funamboli: i jazzisti lo sono sempre un po’) che si avvertono a pelle, rendendo l’ascolto eccitante, privo di appiattimenti, sempre vivissimo.
Col sestetto, l’esigenza di miscelare il doppio delle voci (peraltro ben più aduse all’interplay reciproco) genera momenti meno monolitici, e quindi persino maggiori potenzialità: più frecce al proprio arco si trova ad avere, più D’Andrea accarezza il pelo a quella sorta di sesto senso organizzativo nel fare musica che – come gli amatissimi Ellington, Monk, Mingus, Tristano, tutti presenti con uno o più temi ad eccezione del bassista - dev’essergli in qualche modo congenito. Il piano solo, infine, ci rivela (anzi conferma, perché già lo sapevamo) quanto tutte le voci di cui Franco ama disseminare la propria musica nascano di fatto di lì, da questa dimensione solo apparentemente solipsistica e, forse, impermeabile all’esterno. Non è così per il pianista meranese, e a ribadirlo, se ce ne fosse bisogno, sta il procedimento che fa nascere tema da tema (non a caso s’infittiscono le medley: sei, per un totale di venti alternanze, contro le due del disco in trio e le tre di quello in sestetto).
Una veloce postilla merita, già che ci siamo, proprio l’apparato tematico e il modo di abbeverarvisi. Il procedimento è il seguente: si parte da un tema, poi si pesca da un serbatoio condiviso (ovviamente non nel solo, che fa capo a un’unica testa, anche se pur sempre con due mani...) molto all’impronta, complici, magari, gesti d’intesa di questo o quel musicista. E così si procede, privilegiando gli autori appena citati ma anche Gershwin, copiosamente, e Coltrane (due temi, fra cui la prediletta Naima, dedicata alla sua prima moglie), sacri testi del jazz tradizionale e improvvisazioni collettive (nel disco in sestetto), nonché, ovviamente. molto del D’Andrea songbook. E ora, come per l’Albero della vita dell’Expo che cerca casa, si dovrà trovarne una anche per questo nuovo monumento all’arte di Franco D’Andrea. In attesa del prossimo...
(Foto di Alberto Bazzurro)
CD 1
01. Turkish Mambo / P4+m2
02. Two Colors
03. Goodbye
04. Kit I
05. Oclupaca
06. Undecided
07. Clusters n.4 / Tiger Rag / M3 / Caravan
08. Deep
CD2
01. Coming on the Hudson
02. Open I / Bright Mississippi / Monodic
03. Into the Mistery / Monk’s Mood / Epistrophy
04. Blue Monk
05. Deep Rif
06. Open 2 / Naif
07. A New Rag Suite
08. Two Colors
CD3
01. Clusters n.4 / March / Lychees / A4+m2
02. Six Bars / Strawberry Woman
03. I Got Rhythm / Half the Sun
04. Linee oblique / The Telecasters
05. Naima / Afro Abstraction / Two Colors / King Porter Stomp
06. Round Midnight / Turkish Mambo / Like Sonny / Via libera / Deep / Strawberry Woman
07. I’ve Found a New Baby
08. Lover Man
Franco D’Andrea: pianoforte - Dave Douglas: tromba in CD1 - Han Bennink: batteria in CD1 - Mauro Ottolini: trombone in CD2 - Daniele D’Agaro: clarinetto in CD2 - Andrea Assayot: sax alto e soprano in CD2 - Aldo Mella: contrabbasso in CD2 - Zeno De Rossi: batteria in CD2