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Gerardo Pozzi

tigrecontrotigre

Sì, lo so, avete letto “autoprodotto” nella colonna qui a fianco e l’avete automaticamente tradotto, anche se non lo ammetterete mai, come “non abbastanza bravo da trovare almeno una delle mille etichette casa&bottega che costellano la musica italiana”. E poi, perfidi, ci avete aggiunto: “registrazione da cameretta, o da live appena appena più ripulito”. Lo so perché io sono voi.
E sono ormai anni, io e voi,  che ascoltiamo betoniere di musica che gira, gira, gira, che ci imbattiamo in oceani di velleità, e non sappiamo alla fine se salvare i furbi del vorrei-essere-XY-ma-non-posso-così-accontentatevi-di-questo-che-un-po’-lo-ricorda, o le anime belle che si adorano sinceramente, Dèi di se stessi. Quando poi però ti capita di imbatterti in un artista vero, uno di quelli che semplicemente sanno ancora incastrare testi personali e struggenti, e all’occasione strampalati, su melodie e armonie assassine, uno che poi canta con una voce di nuda e sbracata sincerità, ecco, il nostro cinismo alza bandiera bianca e si arrende, si consegna al nemico. Senz’altro.

Ci è successo in queste settimane con Gerardo Pozzi, batterista e pianista bergamasco che, dopo anni di canzoni nascoste gelosamente sotto il materasso, solo alla soglia dei quarant’anni si decide a metterle su disco. Questo splendido tigrecontrotigre (occhio alla minuscola) è il suo secondo album dopo Sconosciuti e imperfetti che già nel 2011 aveva rivelato agli addetti ai lavori un autore maturo e personalissimo. Dicevamo: batterista e pianista. Vi aspetterete figure ritmiche audaci, una musica fatta di anticipi e ritardi, insomma: appuntamenti mancati. Eppure no, sembra quasi che per questa gente qua (pensiamo, ad esempio, a un caso per certi versi simile come Mirco Mariani alias Saluti da Saturno) la musica implichi il ritmo, traducendolo e scomponendolo in perfetti arrangiamenti mai banali in cui ogni suono, ogni strumento chiamato alla festa (tra l’altro: splendido l’uso “riffato” del flauto), stia lì per un preciso motivo, non perché passa per caso a fare dolcetto o scherzetto. Nel frattempo scorrono davanti a voi desueti madrigali, dolenti ballate, melodie storte ma a loro modo inspiegabilmente catchy, che accolgono un canto rugoso che non sentivamo dai tempi di Jimmy Villotti.

Difficile estrapolare qualcosa da un album di cui, come la balena, non si butta via nulla, un disco tracciato da un aratro unico che con il suo versoio, tutt’altro che gentile, solca personaggi con l’anima zoppicante che snodano le loro esistenze in bilico tra riso e disperazione attraverso i 14 brani (più bonus track) che lo compongono. Allegria di naufragi? E sia, ve la do per buona.
Messi alle strette potremmo citare Sogno o son mesto? (“Faccio l’equilibrista sopra un grissino/ di paranoia e confusione”), la saltellante title-track, soprattutto quando la musica fa ali al folle canto del refrain, o la meravigliosa e commovente Badabùm (grazie alla quale Gerardo Pozzi si è aggiudicato ex-aequo l’ultimo Premio De Andrè) con una melodia assassina che diresti esista da sempre, e forse è così, ma intanto chi l’ha tirata giù da cielo (o su da una cantina, a pensarci bene), è stato lui, non i mille melliflui Simil-Cammariere che in questi ultimi quindici anni hanno ricattato critica e pubblico spianando i kalašnikov dei loro SOL4dim con Sib al basso.
Ma poi, dato che il nostro Gerardo Pozzi è un poeta deragliato, dopo averti toccato il cuore, ti piazza un pezzo schizzato alla Jannacci dell’epoca d’oro come Il giorno di Santo Stefano (“Oh quante volte ti ho fatto da tassista/ Ho consumato tutti i freni/ senza mai toccarti i seni/ Soltanto un bacio sfiorato/ come ai piedi di Gesù Bambino”) e poi un attacco all’uso strumentale e oscurantista della religione (La domenica prima di quella di Pasqua), o ancora la dolente Mi ubriacavo sempre, con quella voce femminile da cinema anni ’70 (settore de paura) che viene a sollevare pietosa il canto disperato di chi si è sprofondato nell’ enivrez-vous baudelairiano.
Ma ogni canzone s’illumina e cresce a ogni ascolto fino a farti pensare con stupore, man mano che il disco avanza, che stai ascoltando, in diretta, un classico.
Tuttavia, a costo di smentirci, vorremmo segnalare infine un pezzo come Raccattarsi capace di immagini geniali come “Raccattarsi pezzo per pezzo/come sulla spiaggia di una domenica d’inverno/ nella giornata di Legambiente”, con quel definitivo finale quasi ciampiano: “Raccattarsi con la scopa, la paletta/ così in ginocchio sulla vita, la testa bassa/ ancora ancora ancora una volta, sì/ ma dopo basta.”.

tigrecontrotigre
(sempre occhio alla minuscola) è autoprodotto, ma una volta sarebbe uscito per la RCA di Ennio Melis e Italo “Lilli" Greco, e se volete, potete pensarlo come tale: il suono, state tranquilli, è bellissimo (nonostante sia stato registrato in una lavanderia, e non scherziamo) e sarebbe cosa buona e giusta se la prossima Targa Tenco gli gettasse un occhio benevolo, perché è un lavoro vivo e vibrante come pochi. E odora di panni puliti.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Gerardo Pozzi
  • Anno: 2014
  • Durata: 51:00
  • Etichetta: Autoprodotto

Elenco delle tracce

01. Ad libitum
02. Sogno o son mesto?        
03. tigrecontrotigre
04. Leggera
05. Badabùm 
06. Il mio leone non è che stia facendo proprio una gran bella fine
07. Il giorno di S.Stefano
08. La domenica prima di quella di Pasqua
09. Mi ubriacavo sempre
10. La Penisola del Tesoro
11. Natanti
12. Alè
13. Raccattarsi
14. Vagabonding
15 (bonus track). Elefanti volanti (una forma di democrazia)

 

Brani migliori

  1. Badabùm
  2. La domenica prima di quella di Pasqua
  3. Sogno o son mesto?

Musicisti

Gerardo Pozzi: voce, pianoforte, batteria, glockenspiel, percussioni, campana in FA, timpani  -  Paolo Piovesan: basso, synth, farfisa, percussioni, bidofono, arrangiamento archi  -  Michele Zattera: chitarre  -  Ennio Marchesi: oboe, sax soprano e contralto  -  Sabrina Pizzol: flauto traverso  -  Franco Bonato: chitarre  -  Eric Felet: tromba  -  Paolo Pizzol: basso  -  Elena Dolif: voce  -  Alice e Sofia Marchesi: coretti