Franco D’Andrea
Un piano solo, quattro brani in quartetto (due con quello abituale, altrettanti con Ottolini, D’Agaro e Bennink) e sette in sestetto (l’intero secondo cd) compongono questo autentico monumento all’arte di Franco D’Andrea, all’epoca di queste incisioni (tutte live, dal 14 marzo all’8 agosto 2011) fresco settantenne. Ed è proprio il caso di definirlo “fresco”, perché è impressionante come un artista sulle scene ormai da mezzo secolo (nella Bologna universitaria anni Sessanta fu amico e sodale del compianto Lucio Dalla) riesca a essere ancora così incredibilmente creativo, in grado di stupirci una volta di più, pur riproponendo una musica inconfondibilmente sua, con un preciso, riconoscibilissimo marchio di fabbrica (e temi, suoi e non, talora anche piuttosto attempati).
Dovunque si vada a pescare, in queste due ore abbondanti di musica, si pesca bene. Così, nello spazio dedicato ai “brani migliori”, non si sono indicate sezioni continuative – del resto a loro volta spesso multiple – dell’album (da applauso a applauso, per capirci), bensì temi, isole, che tornano più volte. Fra queste, anzitutto, i vari Clusters (in musica “gruppi di note suonate in simultanea”; nel jazz celebri quelli, pianistici, di Cecil Taylor), che D’Andrea riserva al suo quartetto abituale (Ayassot, Mella e De Rossi), tranne l’ultimo, in piano solo. Ai primi due si legano invece, rispettivamente, il suo Monodic,e Half the Sundella premiata ditta Ellington/Strayhorn, che torna anche nel trattamento del sestetto, abbinato a Turkish Mambo di Lennie Tristano, a sua volta già presente nell’iniziale, ampia medley con Han Bennink. E c’è un’altra, ancor più illustre icona ellingtoniana (questa scritta con Juan Tizol), l’inconfondibile Caravan, affrontata sia dal succitato quartetto col batterista olandese che dal sestetto. Il resto del materiale si deve per lo più alla penna di D’Andrea, cose nuove e non (tipo March, Via libera, ripresa spessissimo dal pianista meranese, Into The Mystery).
Ma che tipo di musica contiene questo piccolo scrigno? L’impatto è subito promettente: si avverte immediatamente una verve creativa, una felicità inventiva, floridissime. C’è raffinatezza, fluidità, essenzialità, e rigogliosità, corpo, magma. Le dinamiche sono costantemente mosse, vivacissime. Si salta da segmenti in cui c’è tutto il peso del passato (dell’intera storia del jazz, cioè) e repentine trascolorazioni verso il contemporaneo, anche il cacofonico, l’informale. C’è, di fatto, un musicista che, come l’amato Mingus (o lo stesso Sun Ra), sa far tesoro di tutto quanto è venuto prima (il meglio, ovviamente) senza scadere mai nella maniera, nella routine, nell’archeologia da museo delle cere di tanti giovani virgulti (e non) che popolano l’attuale scena jazzistica.
C’è coraggio e intelligenza, rigore e capacità di seguire l’attimo fuggente (creativamente parlando), grande cultura musicale (in senso lato) e voglia di mettersi ciò nondimeno continuamente in gioco, di non dare mai nulla per scontato. C’è, in altre parole, la modestia e l’ambizione di voler essere musicisti autenticamente a trecentosessanta gradi. A settant’anni non è proprio da tutti: complimenti a Franco e a tutti i suoi brillanti coéquipiers.
francodandrea.com
CD 1
01. I’ve found a new baby + Turkish mambo + Strawberries
02. Clusters N.1 + Monodic
03. Clusters N.2 + Half the fun
04. Clusters N.3
05. Caravan
CD2
01. March
02. Via libera
03. A4 + m2
04. Turkish Mambo + Half the fun
05. M3 + Caravan
06. Into the mystery
07. Old time blues
Franco D’Andrea: pianoforte Mauro Ottolini: trombone (tranne 1.02÷04) Daniele D’Agaro: clarinetto (tranne 1.02÷04) Andrea Assayot: sax alto e soprano (tranne 1.01, 1.04, 1.05) Aldo Mella: contrabbasso (tranne 1.01, 1.04, 1.05) Zeno De Rossi: batteria (tranne 1.01, 1.04, 1.05) Han Bennink: batteria in 1.01 e 1.05