P.G.R.
La "presunta" conversione di
Giovanni Lindo Ferretti al cattolicesimo obbliga ogni recensore che si rispetti
a dire la propria sull’avvenuto volteggio e ricaduta oltretevere di quello che
fu il leader del primo-gruppo-punk-filo-sovietico-italiano
– altra perifrasi dovuta ad un articolo dignitoso sulla triade per sigle
(CCCP-CSI-PGR) che piangendo un tempo Majakovskij oggi pare ritrovarsi a
piangere Baget Bozzo. E noi, pur sbuffando platealmente, ci sottoponiamo al
gioco e sentenziamo: delle beghe metafisico-politiche di GLF ci interessa tanto
poco, sia perché dubitiamo che il nostro ai tempi di “Canzoni, preghiere, danze
del II millennio” fosse molto diverso da oggi, sia perché – se dio vuole, è
proprio il caso di dirlo – i pensieri politici del suddetto contano uno
all’urna come quelli di chi qui scrive e di chi di là legge. Se poi la
conclamata conversione, come alcuni sostengono, ha generato a sua volta
conversioni di qualche (sparuto) fan, allora il problema non di conversioni ma
di eccessiva importanza data da sempre alle parole di una persona che non ha
mai smesso di dichiararsi cantante (di sé stesso: “trasformami in megafono e
m’incepperò”) per diventare politico o chierico – in estrema sintesi: quanti danni ha
fatto, anche in territorio musicale, la mancanza di un serio e vero leader
nella sinistra italiana negli ultimi vent’anni?
Dunque assolto il compito veniamo
alla musica. P.G.R. atto finale,
Ultime notizie di cronaca come il
saluto risolutivo di tre persone che piaccia o meno hanno fatto la storia del
rock italiano di almeno due decadi. E si sente, aggiungiamo. In positivo come
in negativo. In positivo perché, anche se in modo non stabile e sui soliti
binari, queste nove tracce dimostrano che la chimica fra i tre esiste ancora.
Ma al contempo in negativo perché non sono poche le fasi calanti in cui,
Ferretti in primis, pare che venga innestato il pilota automatico e portato al
termine il brano così come si deve.
Dividendo la tracklist in due
gruppi secondo quanto detto, appartengono al primo il trip-hop approssimato ma
trascinante di Cronaca del 2009 – con
Ferretti-Savonarola ipermoderno e sarcastico («la luce della ragione illumina
le tenebre / sono pur sempre tenebre») e la solita chitarra e-bow perfettamente
evocativa di Canali – e la seconda delle due Cronaca di guerra, puro esercizio di stile capace però di rimanere
addosso con l’e-bow a sviscerare una melodia contagiosissima ma non ruffiana e
il ritornello che si apre folgorante e asciutto (pare che stiamo parlando di una
formazione power-pop, eppure…).
Stanno invece nel secondo gruppo quei
brani dove l’autoreferenzialità di Ferretti, le sue montagne, la loro gente, la
fede e via dicendo si fa esagerata e sterile affossando le buone intuizioni
musicali (la chitarra blues-arabeggiante di Cronaca
del ritorno ondulante come un canto di Shabbat, l’ascendenza da Battiato di
Cronaca divina rovinata dalla
retorica da messale delle liriche), quand’anche la scrittura pare procedere
secondo manuale (Cronaca settimanale)
e certe soluzioni elettroniche di Maroccolo arrivano del tutto fuori tempo o
fuori centro (i synth della commuovente Cronaca
filiale).
Tra i due poli, il resto dei brani, sempre al di sopra della
sufficienza, completa un disco a fasi alterne, che testimonia come l’avventura
di questi tre musicisti – e di quelli che prima di oggi avevano abbandonato la
strada per percorrerne una tutta loro – finisca nel momento più opportuno e
dignitoso. Un attimo dopo l’aver detto le ultime cose che erano da dire («già
consumatore l’uomo si vuole clone / una merce qualsiasi / lo era da schiavo lo
sarà da padrone»), un attimo prima che una storia musicale così importante e
influente diventi l’inevitabile parodia di se stessa.
01. Cronaca montana
02. Cronaca di guerra 2009
03. Cronaca di guerra 1
04. Cronaca del ritorno
05. Cronaca di inverno
06. Cronaca di guerra 2
07. Cronaca filiale
08. Cronaca settimanale
09. Cronaca Divina Te Deum
Giovanni Lindo
Ferretti: voce
Giorgio Canali:
chitarre, voci
Gianni Maroccolo:
basso, electronics