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Ivan Talarico

Un elefante nella stanza

Difficile dire se l’esperimento di Ivan Talarico sia efficace, condensato com’è in una struttura da album tipica del ventesimo secolo. Il suo lavoro, Un elefante nella stanza, si adatta difficilmente alle semplici definizioni di un disco: è probabile che la sua arte sia molto più suggestiva dal vivo. E non basta come puntualizzazione, perché se è pur vero che ogni arte dopo il ‘900 è teatro, come sostiene John Cage, è anche vero che molti artisti si impegnano a creare una forma prettamente musicale, sia nello spettacolo live, sia nel confezionamento di un album.

Per cui è invece prettamente teatrale questa fatica di Talarico, che d’altronde nasce come artista da palcoscenico. È un teatro dell’assurdo, che prende le mosse certo da Gaber, per poi spostarsi verso orizzonti alla Elio e le Storie Tese. Ma appunto in fase di registrazione si è perso questo gusto della performance, perché una volta ascoltato il pezzo e riso alle battute esilaranti e alle situazioni assurde, ‘bergonzoniane’ oserei dire, come quelle che affastellano Ho saputo che stavi per morire, non scatta immeditata la voglia di ri-ascoltare il disco. È un discorso che si potrebbe fare anche per Elio, ma è per questo che loro, dopo le prime prove di avanspettacolo degli anni ’80, si sono concentrati essenzialmente sull’aspetto musicale, valorizzandolo per inventiva e virtuosismo, costellando di finezze le loro canzoni e le relazioni di esse dentro un album.

Questo ‘labor limae musicale’ qui non c’è: per la maggior parte del tempo la musica si assesta su un livello di accompagnamento, sottolineando le battute di maggior efficacia, o inserendo dei piccoli divertissement che danno il tempo all’ascoltatore per immagazzinare i flussi di parole, e prepararsi per il prossimo. Infatti, è proprio un flusso di sproloquio quello che riempie molti dei pezzi, come Andirivieni blu o Carote d’amore; o addirittura in Torta di male, in cui le parole non vengono né cantate, né rappate, ma diventano declamazione tout court. E la musica in questi momenti allora si piega totalmente sì al flusso, e finisce per essere originale nella sua stravaganza.

Tra le maglie di questa comicità espressionistica, talora ci si aspetta di scoprire un senso misterico della vita, un’epifania che ci lascia sconcertati. Si estrapolano alcuni versi lapidari, che gelano il nostro riso in un nulla cosmico senza risposte, come in Eppure noi viviamo ancora: “Le domande non servono a dare risposte, / danno solo un momentaneo sollievo a chi le ha poste”. O a volte si percepisce l’amarezza di un’esistenza che vorrebbe trovare un senso, ma il cinismo che ci pervade è ormai invalicabile nel nostro tempo, come nella disperata L’elefante, che riesce a stare in una stanza perché è la metafora di un amore non corrisposto, grigio e pesante per lei, amaro e dolcissimo per lui. Ma alla fine resta anche un sorriso, quando semplicemente si pensa a titoli del genere: Ho superato me stesso, mi aspetto al bar per bere una cosa insieme.

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Filippo Gatti
  • Anno: 2019
  • Durata: 30:29
  • Etichetta: Folkificio

Elenco delle tracce

01. Ho molte cose da dire, ma non mi so spiegare
02. Eppure noi viviamo ancora
03. Andirivieni blu
04. L’elefanteì
05. Carote d’amore
06. Battito d’ali
07. Il mio occhio destro ha un aspetto sinistro
08. Sgombro
09. Torta di male
10. Senza assenso
11. Ho saputo che stavi per morire
12. Ho superato me stesso, mi aspetto al bar per bere una cosa insieme

Brani migliori

  1. Eppure noi viviamo ancora
  2. L’elefante
  3. Ho saputo che stavi per morire