'O Rom
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci, interpretazioni azzardate o “conservatrici: la musica popolare, intesa nel senso di musica che i popoli ancora oggi non solo ascoltano, ma suonano, facendola diventare parte integrante della propria cultura quotidiana, non ha una nazionalità precisa, perché qualunque comunità, di qualsiasi dimensione, ha potuto sviluppare nei decenni, o più correttamente nei secoli, una propria capacità di cantare, di suonare, di esprimersi artisticamente.
È del tutto ovvio che nel momento in cui queste diverse culture hanno avuto la possibilità di venire a contatto fra loro, certo con tutte le difficoltà possibili (e spesso create anche ad arte…), queste tradizioni si sono guardate negli occhi, hanno scoperto molti punti di contatto reali, altrettanti possibili, ed elementi del tutto propri da scambiarsi e da mettere in comune…
In quest’ottica non desta nessuna sorpresa il fatto che un gruppo di artisti napoletani, e dunque artisticamente fortemente connotati, abbia “incrociato” un gruppo si artisti rumeni (qui tutti insieme nella foto a fianco di Alessandra del Giudice) dalla storia musicale altrettanto definita, e da questo incontro sia scaturito questo Vacanze Romanes.
Innanzitutto si tratta di un disco allegro: sembra banale dirlo, ma se fra le righe degli undici brani eseguiti dagli ‘O Rom si dovessero trovare tracce di nostalgia, per la propria terra, per i propri cari lontani, per un amore perduto, ebbene tutto ciò passa in secondo piano nei confronti dello spirito frizzante, movimentato e “colorato” delle esecuzioni.
Del resto in qualunque paese del mondo la tradizione popolare ha origini rurali e malgrado lo sviluppo urbano, respira ancora l’aria delle aie, dei campi, dei piccoli aggregati di cascine. Il concetto di “festa di paese”, anche se trasformato oggi in “festa di quartiere” per semplici motivi di planimetria, non ha perso quell’atmosfera “locale” che, in forme e modi differenti, appartiene a tutti i paesi.
Gli stessi strumenti, pur con qualche specifica peculiarità “indigena”, alla fine si assomigliano: chitarre, fisarmoniche, violini, percussioni, trovano cittadinanza praticamente ovunque; cambiano le intonazioni, a volte (ma molto meno) i ritmi, ed è a questo punto che l’incrocio di queste specificità arricchisce reciprocamente le esperienze.
Ciascuno suona “il suo”, ed accompagna “l’altro” sino a penetrarne i segreti, le caratteristiche, ed allora il ventaglio espressivo si allarga, come un sorriso, perché chiunque impara qualcosa è più ricco di prima.
Il valore, non solo musicale, di questa esperienza risiede proprio in questo fruttuoso scambio di suoni, ritmi, timbri e melodie; nessuno resterà più chiuso all’interno della propria singola esperienza, ma la coltiverà, la proporrà ancora ma, ed è questa la novità, ad essa ne affiancherà una nuova.
Si potrà chiamare mescolanza, contaminazione, oppure usando un anglicismo recente anche “mash-up”… il risultato, del tutto evidente, è che si canta, si balla, si sta in compagnia e ci si diverte, esattamente come facevano i nostri avi in tempi lontani; la storia, tutto sommato, se spesso fa uno o più passi in avanti, altrettanto spesso ne fa uno o più indietro, proprio come in una danza.
01. Kerta mange daje
02. Opa tsupa
03. Nocas mi srce pati
04. Kalushua
05. Caje Sukarije
06. Geljan Dade
07. Erdelezi
08. Ciocarlia
09. Tutti frutti
10. Kalinifta
11. Solnuska
Carmine D’Aniello: voce, bouzouki, tamburi a cornice - Carmine Guarracino: chitarre - Ilie Pepica: violino - Ion Tita: fisarmonica - Doru Zamfir: fisarmonica - Ilie Zbanghiu: contrabbasso - Amedeo Della Rocca: percussioni