Nell’epoca dell’iPod generation e della musica come sottofondo perenne, finchè ci saranno artisti tanto ostinati da aprire un disco con una dolcissimo pianoforte e una ballata indolente e autunnale di quelle che hanno il fascino della musica senza tempo com’è
Via delle storie infinite, title-track di questo nuovo lavoro di
Luca Barbarossa, allora potremo ancora sperare di sopravvivere al degrado musicale in cui siamo piombati ormai da tempo.
C’è una distanza abissale tra la ragione artistica – l’idea di musica che uno ha e che cerca di rendere pubblica solo ed esclusivamente alle proprie condizioni – e il prodotto di una strategia promozionale che ha come scopo nient’altro che la mercificazione del talento. C’è sempre stata, non è una novità. Ma è quando arriva un album come questo che la si percepisce in pieno. Nel dodicesimo disco del cantautore romano non c’è davvero nulla che ti faccia supporre di ascoltare il frutto di una scelta di marketing o di un processo di emulazione di un fenomeno stagionale. In questi brani c’è l’onestà intellettuale di un artista che non è un mestierante, che pubblica dischi non per scadenza discografica ma quando ha veramente qualcosa da dire; il richiamo a un modo antico di far musica d’autore basato su canzoni che non vogliono fare colpo, ma provano invece ad infilarsi nel cuore con passo delicato e profondo.
Dodici le tracce, che s’intrufolano senza affanno, che tratteggiano l’inquietudine della vita di tutti i giorni (
Invece no,
Un po’ d’eternità,
Forme di vita), che accarezzano i sentimenti (la magnifica
Cose e rose,
Un altro giorno,
Greta,
Se fa paura l’amore,
Vai vai), che ironizzano sul presente (
Aspettavamo il 2000,
Dio non è) e che soprattutto emozionano, in un’esplosione di intuizioni semplici e leggere, di scampoli di meraviglie istantanee. Un disco da portarsi in dote nell’austerità del presente.
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