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Binomi (e non) a Statuto Autonomo

Cinque, com’è noto, sono le regioni italiane a Statuto Speciale (o Autonome): Val d’Aosta, Alto Adige, Friuli, Sicilia e Sardegna. Nelle ultime tre in particolare è vitalissimo il “sacro verbo” jazzistico, non di rado grazie a etichette autogestite dagli stessi musicisti, fenomeno del quale ci siamo già occupati. Per esempio soffermandoci – come rifacciamo ora – sull’Improvvisatore Involontario, etichetta decisamente coraggiosa la cui attività è palleggiata fra Bologna e Sicilia, regione da cui proviene il suo deus ex-machina, il batterista Francesco Cusa. Il cui nome, tuttavia, nell’ultima tornata di uscite della label, non compare. C’è, invece, il quartetto Heimweh (dall’omonimo film di Andrzej Tarkowski), formato dal clarinettista Alberto Popolla, dal chitarrista Alessandro Salerno, dal vibrafonista Francesco Lo Cascio e dal batterista Mario Paliano (gli ultimi due anche percussionisti), che nell’ottimo Ragh Potato, di chiaro tratto sperimentale, sfoggia belle timbriche e un invidiabile equilibrio di gruppo, in bilico fra una vitalità non di rado nervosa, frammentata, e momenti più stemperati e ripiegati.

Non dello stesso livello, ma comunque degni di attenzione, sono gli altri due album appena editi da I.I., entrambi dedicati a duetti chitarra/percussioni. Si tratta di Tri Soni di Soni Sfartati e di Kado – Live @ Area Sismica di Ongaku2. La provenienza dei membri dei due binomi è emblematica sotto diversi aspetti: nel primo, svolto su temperature rockeggianti non esenti da una certa epidermicità, operano per esempio i catanesi Enrico Cassia e Antonio Quinci, nel secondo, con ampio corollario elettronico (talora lievemente disumanizzante), i cagliaritani Elia Casu e Paolo Sanna. Sicilia e Sardegna sugli scudi, quindi. E dalla Sicilia (Messina) proviene un altro chitarrista, Domenico Caliri (foto in alto, di Pat Ferro), rivelatosi anni fa nell’Electric Five di Enrico Rava, e che forma oggi col vibrafonista (quindi in qualche modo anche lui percussionista) Pasquale Mirra il duo PasCal, recente protagonista di Tutto Normale, cd edito dalla friulana Palomar, il cui nume tutelare è il contrabbassista goriziano Giovanni Maier, a sua volta sodale storico di Rava (fra i tanti).

Se Tutto Normale affianca brani originali a temi per lo più di pianisti (Monk, Tristano, John Lewis, Herbie Nichols, ecc.), non disdegnando Bach e Satie, e appare un po’ indeciso fra divertissement e impennate rumoristiche, vitalità espressiva e mero esercizio di stile, ancor più degne di menzione sono altre due recenti uscite Palomar, sempre ruotanti attorno alla “formula due”, e nello specifico alla batteria del vicentino Franco Dal Monego, che vi si produce rispettivamente a fianco del pianista goriziano Giorgio Pacorig e del tenorsassofonista ferrarese Francesco Bigoni (li vediamo tutti e tre insieme nella foto qui sotto). Il cd con Pacorig, in particolare, inciso nel 2008, è assolutamente maiuscolo. S’intitola Senza tempo, e attraverso composizioni tutte originali alterna, in estrema libertà, frammenti accidentati, anche tumultuosi, con sequenze più sorvegliate, lineari, talora virate verso un lirismo soffice e sospeso. Apprezzabile anche Talking, con Bigoni (incisione ancora del 2008), dove peraltro tutto (esiti compresi) appare un po’ più legato al contingente; libero, certo, ma forse fin troppo allo stato brado, e con piuttosto evidenti rimandi coltraniani. Volenti o nolenti, perché certi modelli, da “Vigil” a “Interstellar Space”, incombono fisiologicamente, nel momento in cui si abbinino un sax tenore e una batteria.

Passando oltre, sarà perché la Palomar predilige il duo (ha una linea a posta), fatto sta che il suo capo carismatico, il citato Giovanni Maier (vedi foto in homepage), nel momento di documentare il suo nuovo quartetto (con Luca Calabrese alla tromba, Emanuele Parrini al violino e Scott Amendola alla batteria) si è rivolto altrove. Ne è venuto comunque fuori un album, The Talking Bass (Long Song Records), di grande impatto, abilmente costruito e condotto, felicemente articolato, mosso nelle dinamiche, solido e arguto, oltre che assai originale. Il che, oggi come oggi, è parametro sempre più irrinunciabile (perché in fondo raro).

Forse non altrettanto originale – tornando in chiusura alla Sardegna – è il gruppo che firma Memorie di standards (Philology), un piano trio che fa tesoro di tutto un ampio, glorioso retroterra, ma con una souplesse, un interplay, una capacità di far respirare la musica (specie nei momenti migliori, tipo Blues #1, Sometime Ago e Sulla scia dei delfini) che lo rendono altamente apprezzabile (e consigliabile, specie ai cultori del ramo). Lo alimentano il pianista Alessandro Di Liberto, in primis (suoi otto degli undici temi complessivi), e poi il bassista Nicola Cossu e il batterista Daniele Russo, tutti di Cagliari, dove il disco è stato inciso nel marzo 2010.

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