Il
mondo della Musica vive oggi una stagione difficile come mai, in cui tutti i
sentieri e le mansioni, i supporti e le possibilità sono messi a dura prova.
Nella scossa incertezza generale, seduti sulla conca bassa dell’onda lunga in
atto, nell’ottava puntata della nostra rubrica proviamo a commentare la
situazione “dalla parte della voce”, con il cantante-insegnante Andrea Rodini.
I periodi di crisi, nel fare andare tutto
a rotoli, mostrano meglio le incongruenze del sistema precedente ma anche le
possibilità future, i semi del prossimo sistema che ci aspetta. La musica mai
come ora fatica ad essere un mestiere, eppure al contempo è sparata a mille da
format come X-Factor; spottoni che più che aiutare, un poco deformano la realtà
delle cose. «X-Factor, e non lo dico per
identificazione aziendalista, è una vetrina come un’altra. Ci arrivano musicisti
che stanno facendo gavetta come tutti. Il problema è: “E poi?” Perché se non
hai un progetto forte che funziona, ciccia. E caratteristiche fondamentali ma
non sufficienti di un progetto forte sono la “verità” e la sincerità, che
prescindono da valutazioni di mercato. Io credo che tutta la musica sia
commerciabile. Bisogna trovare i canali per promuoverla, e chi si occupa di
musica “altra” non ha ancora trovato quei canali; e in tutto questo ci leggo
anche un po’ di snobismo. Nella crisi del mercato discografico voglio vedere
però anche un aspetto positivo: la dimensione live potrebbe riprendere forza.
La musica si suona dal vivo, non negli studi di registrazione. E dal vivo non
si può barare, quindi costruite dei buoni spettacoli live!». Il mestiere in
teoria è sempre lo stesso, ma spesso la situazione, il contenitore, ha mano
pesante nell’influenzare l’atteggiamento e quindi i risultati. «Il mio approccio non cambia, cambia il
tempo che mi viene concesso per lavorare. Io lavoro essenzialmente
sull’interpretazione, sul peso delle parole nella canzone e sulle varie opzioni
che vocalmente si hanno di “raccontare” quelle parole. Di insegnare tecnica mi
sono annoiato. Intendiamoci: la tecnica è importantissima ma deve essere al
servizio dell’espressività e non il contrario. Nelle scuole di musica l’aspetto
interpretativo non è purtroppo preso in considerazione. Dentro X-Factor quel
lavoro è stato svolto e sono soddisfatto del risultato. Bisogna comprendere
bene questa cosa: di voci belle, di begli strumenti ce ne sono un’infinità, di
cantanti che ti fanno “vivere” il racconto della canzone, pochi. Per me i
cantanti sono i secondi». Questione di tempo e di considerazioni: il gap
fra discografia e concerti, fra grande network e scena indie, resta – per
quanto più incerto nel mettere un piede avanti all’altro sul filo. «Le case discografiche sono delle aziende il
cui fine è guadagnare dai prodotti musicali. Il loro obbiettivo è quindi
vendere, non fare musica. Della musica come la intendono i musicisti, non
gliene frega niente, forse giustamente. Del resto se un’edicola vendesse solo
giornali di alta cultura, fallirebbe in un mese. Il problema è cosa si aspetta
dal “fare musica” un musicista come i TekaP (Canzoni in dialetto milanese) il
cui progetto non è così comunemente commerciale. E io rispondo così: vivo in un
appartamento di 38 metri quadri, mangio tre volte al giorno e non mi manca
nulla, quindi sono libero di fare in musica ciò che voglio. Il mio obbiettivo?
Guadagnare 1800 Euro al mese suonando la mia musica, per me quello è il
“successo”. Non è impossibile. La mia presenza in televisione aiuta a
raggiungere quell’obbiettivo. Invece di menarsela con le Major che non
producono musica “altra”, dove sono piuttosto le piccole etichette che invece
di puntare al successo planetario, puntino sui guadagni piccoli ma “sufficienti
a vivere”? Dove sono le case discografiche da 1800 Euro al mese?». Facile
dire che, nel battere i conti, a seconda di punto di vista la calcolatrice dica
diverso. Certo è che l’arma a doppio taglio della crisi presenta, sovraesposte,
le varie facce della medaglia. Ma fra tutte, è la cupa situazione del live il
tentativo di suicidio per il quale preoccuparsi di più. «Suonano i soliti noti per lo stesso motivo per cui le Major non
producono musica “altra”. Chi organizza liveshow deve guadagnare dalla vendita
dei biglietti. Il problema del
free-download è soprattutto il fatto che passa l’idea che dietro a una
canzone non ci sia un “lavoro” e che quindi il musicista non debba essere
retribuito. I giovani non pagano il biglietto per vedere un concerto perché
vogliono downloadare anche quello. Teoricamente dovrebbe intervenire lo
Stato... ciao! Credo che il futuro sia nelle sponsorizzazioni. E, come sopra,
in tutti quei promoter il cui obbiettivo sono i 1800 Euro al mese».
Andrea
Rodini
ha studiato violino al conservatorio di Milano e ha scoperto che la musica
classica non era la sua strada. Ha studiato canto alla scuola civica di jazz di
Milano e ha scoperto che il jazz non era la sua strada. Ha studiato tecnica
vocale e ha scoperto che la tecnica vocale non è la sua strada. Ha trovato la
sua strada nell’insegnare interpretazione e nei gruppi TekaP e VociAtroci.