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Claudio Lolli - Aspettando Godot

Claudio Lolli
Aspettando Godot
EMI Italiana-Columbia, 3C 064-17814

Nell’estate scorsa la musica italiana è rimasta orfana di uno degli ultimi ‘veri’ cantautori: Claudio Lolli. Ci ha lasciati il 17 agosto 2018, portando con sé una eredità musicale fortissima, ma purtroppo poco conosciuta e apprezzata da molti. Ricordato soprattutto per brani memorabili come Aspettando Godot, Borghesia, Michel, Ho visto degli zingari felici, fu definito il "cantautore senza compromessi" in quanto nei suoi dischi Lolli diceva la pura e semplice verità senza orpelli e abbellimenti, ma come la si trova nuda e cruda. Per questa nostra rubrica, ‘Mi ritorni in mente’, che vuole ritagliarsi uno spazio tra segnalazioni di nuove uscite discografiche e report di live attuali offrendo uno spaccato sugli album più importanti della nostra storia musicale, parlare dell’album di esordio di Lolli ci sembra doveroso. Torniamo quindi agli inizi degli anni Settanta e partiamo nel racconto di Aspettando Godot.

Il primo 33 giri di Lolli viene pubblicato grazie all'interessamento di Francesco Guccini, che dopo aver ascoltato le sue canzoni decide di presentarlo alla EMI Italiana (a fianco una foto di Lolli . La prima stampa dell'album avviene nel 1972 ed aveva la copertina apribile (più sotto una foto rende bene l’idea…), mentre le ristampe hanno la copertina a busta singola. La copertina raffigura una banconota da cinquemila lire dove, al posto di Cristoforo Colombo, è raffigurato lo stesso Lolli e l'importo scritto in lettere a caratteri neri riporta, al suo interno e con caratteri in azzurro, le tre lettere EMI, con chiaro riferimento alla casa discografica produttrice. In riferimento alla EMI è interessante il testo del brano Autobiografia industriale contenuto nell'LP Disoccupate le strade dai sogni dell'anno 1977, nel quale l'autore riferendosi al "primo giorno che ho messo piede alla EMI (testuale), narra il suo primo contatto con quella casa discografica. Ma torniamo ad ‘Aspettando Godot’, dicendo che i testi e le musiche sono tutti di Lolli, mentre gli arrangiamenti sono curati da Marcello Minerbi, leader dei Los Marcellos Ferial. Sull’importanza di Minerbi torneremo più avanti, ma cogliamo l’occasione anche per ricordare che qualche anno dopo Lolli incontrerà Paolo Capodacqua, musicista di spiccata sensibilità con cui nascerà un sodalizio ininterrotto fino alla fine, un ruolo strategico per questo chitarrista abruzzese che ha curato arrangiamenti, suoni e messa in scena di tutti i loro live per oltre due decenni. (Nella foto centrale li vediamo insieme in una foto presa dal profilo facebook di Capodacqua).


Il bolognese Claudio Lolli nel ’72 ha 22 primavere, o forse meglio dire inverni, ed è al primo disco, ma – curioso da dire - sta già covando un lavoro come Un uomo in crisi (Canzoni di morte, canzoni di vita), che uscirà l’anno dopo. Come dicevamo, per il suo esordio, in copertina si è sostituito a Cristoforo Colombo sulla ‘vecchia’ banconota da cinquemila lire, tiene gli occhi bassi, ha i baffetti e i capelli con l’onda. Insomma, uno strano ragazzo, ma non l’unico in quel periodo. Come lui ci sono Giorgio La Laneve, per esempio (con cui collaborerà nel 1973 proprio Marcello Minerbi), così come un coetaneo romano, Mauro Pelosi, che nello stesso anno pubblica “La stagione per morire”, e una miriade di adolescenti che nell’angoscia metropolitana o privatissima di Claudio riconoscono le loro, di angosce. Riconoscere invece di negare: dopotutto è questo che fa Lolli e d’altro canto - restando nel mondo dei cantautori - non ha forse cantato Giorgio Gaber che “morire e far morire è un’antica usanza che suole aver la gente”? In Aspettando Godot si muore e si fa morire (quel “bimbo che faceva il muratore”), ma è un po’ come cercare in fondo alla galleria o nell’umido di un pozzo, magari quello “che specchia la luna”, il senso della vita. E una vita migliore. Per tutti. Una manciata di canzoni che sono anche un viaggio nella vita di un uomo che passa tutti i periodi fino ad arrivare alla morte, rendendosi conto che Godot (ossia le illusioni) non arriverà (non arriveranno) mai. Detto questo, Aspettando Godot è un’opera prima solo nella forma, perché la sostanza è densa, adulta, matura, come maturi sanno essere – a volte - certi adolescenti. È denuncia sociale e nel contempo rivolta interiore, è l’inizio di un percorso sofferto che qualche tempo dopo avvicinerà Claudio Lolli alla felicità di quegli “zingari” che in piazza Maggiore a Bologna si rincorrono, fanno l'amore e si rotolano per terra, ubriacandosi “di luna, di vendetta e di guerra” (qui a fianco la copertina del n. 29 de L’Isola che non c’era, dedicata al grande lavoro di recupero che agli inizi degli anni duemila Il Parto delle Nuvole Pesanti fece risuonando tutto l’album, arricchendolo con arrangiamenti straordinari, e il risultato finale fu ben più di un semplice remake), e gli farà cantare nel ’77 che le strade non vanno mai disoccupate dai sogni. Ma è ancora presto per il Movimento. Claudio è un po’ troppo solo e aspetta Godot senza sapere chi e quando arriverà. Gli si affianca - ironia della sorte - Marcello Minerbi, un genovese cinquantenne che aveva insegnato a suonare il sax a un certo Luigi Tenco (sì, sì, un altro allegrone) e si era anche divertito un mondo a prendersi e prenderci per i fondelli con la sua creatura più nota: Los Marcellos Ferial che negli anni Sessanta aveva sfornato diversi successi. Da Sei diventata nera (brano solare all’ennesima potenza, tormentone estivo che uscì nel 1964) a Quando la morte avrà (brano contenuto nell’album d’esordio di Lolli) il passo non è breve, ma Minerbi (scomparso nel ’97) è un grande professionista, e aiuta Lolli a dare un po’ di colore a quelle musiche semplici e però mai banali, stando bene attento a non esagerare. Oggi lo iscriverebbero d’ufficio al partito dei minimalisti.
Un disco decisamente attuale anche a distanza di trenta e passa anni, visto e considerato che i bambini fanno ancora i muratori (oltre alle borse per gli stilisti) e non mancano quelli sempre pronti “a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani”. Negli anni, però, Lolli diventa più scaltro, e siccome l’ironia non gli ha mai fatto difetto, ogni volta che riproponeva dal vivo Borghesia (dove sembra riecheggiare la canzonetta "Casa mia, Casa mia per piccina che tu sia"), la descrive come una vecchia, piccola, bolsa, che oramai per il passare degli anni fà ormai schifo pena e rabbia, aggiungendo un “forse” nel verso “per piccina che tu sia” e “(forse) il vento un giorno ti spazzerà via”. Non ha invece bisogno di aggiunte Michel: la storia dell’amicizia, dell’“esclusiva tenerezza” che univa il ragazzo italiano e il ragazzo francese vale cento romanzi di formazione. E quei “due saluti” alla stazione dicono ai nostri occhi e al nostro cuore più e meglio di un film.

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