Nella terza puntata della
nostra rubrica dedicata ai gruppi vocali
incontriamo i Cluster, ensemble
divenuta famoso grazie alla partecipazione alla scorsa edizione di “X Factor”.
Michele Manzotti chiacchiera con il leader del gruppo Erik Bosio, che racconta
la genesi del gruppo e il perché della partecipazione al tanto vituperato
reality musicale.
Avevano già iniziato a mietere riconoscimenti nel 2006. Il loro primo
album Cement, pur
se semisconosciuto da noi, aveva collezionato tre nomination ai Caras, i premi
per gruppi a cappella che vengono dati ogni anni negli Stati Uniti. Poi nel
2008 è arrivato il ciclone “X Factor”. Pur non arrivando primi si sono presi
molte soddisfazioni. I Cluster infatti hanno partecipato alla colonna sonora
dell'ultimo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, e a fine mese saranno a Roma per partecipare
allo show di Fiorello su Sky. In ponte anche un progetto teatrale, le
note di copertina di un dvd dedicato al jazz della collana Espresso-Repubblica
e soprattutto, dopo Enjoy the Silence, il disco nuovo su etichetta Sony
con il ritorno a un repertorio prevalentemente jazzistico (tra i loro
ispiratori Take 6, New York Voices)
accompagnato da brani originali. Da Genova, città di cantautori per eccellenza,
arriva con i Cluster qualcosa di indubbiamente diverso nel panorama musicale
italiano. Forse grazie alla tanto deprecata tv e all'altrettanto deprecato
programma televisivo che li ha ospitati. Ne parliamo con uno dei componenti, Erik
Bosio.
Per chi ha un po' di conoscenza
di termini musicali Cluster è un nome tutt'altro che rassicurante dato che vuol
dire suono forte e confuso: «Esattamente, abbiamo messo le mani avanti e non
avevamo voglia di rassicurare chi ci ascoltava. Però Cluster è anche usato in
altri ambiti come quello informatico, inoltre ha anche il significato di
grappolo, di gruppo. E' anche per questo motivo che lo abbiamo scelto».
Parliamo di “X Factor”, una curiosità vostra o la voglia di andare oltre
un pubblico di nicchia? «Non siamo stati noi a proporci, bensì loro a
chiamarci. “X Factor” è un format esportato in vari paesi, la situazione dell'Italia
è ben diversa da quella dell'Inghilterra o della Danimarca. Nei paesi
anglosassoni non solo ci sono più gruppi che cantano a cappella, ma c'è una
presenza maggiore di boy band o ensemble femminili. La categoria gruppi vocali
è quella che in Italia ha meno rispondenza e quindi dalla trasmissione hanno
fatto una ricerca minuziosa in tutte le direzioni. Dopo la nostra presenza
televisiva, tanti gruppi ci hanno detto di essere stati contattati».
Quindi una vostra scelta:
«Dapprima eravamo titubanti dato che il nostro repertorio era diverso da quello
che avremmo dovuto affrontare. Ma dopo dieci anni di attività, di cui quattro
insieme in gruppo abbiamo deciso di partecipare e alla fine ritengo che abbiamo
fatto bene». Come gruppo avevate un
metodo di lavoro, in trasmissione come è stato il rapporto con lo staff e i
musicisti che dovevano seguirvi? «Anche in questo caso abbiamo fatto molte cose
da soli, dato che la categoria dei
gruppi vocali in Italia era sostanzialmente diversa dalle altre. I cantanti solisti
infatti avevano un testo di una canzone da imparare e da reinterpretare. A noi
davano un testo ma senza un arrangiamento specifico, e quindi abbiamo dovuto veramente lavorare
notte e giorno. Vedendola da spettatore, sembrava che ci fosse una settimana di
tempo per lavorare tra una trasmissione e un’altra. Invece tra interviste,
“confessionali” e altri obblighi restavano solo tre giorni. Così abbiamo
scoperto un altro aspetto del lavoro di squadra. Prima infatti ognuno di noi
portava un brano arrangiato di cui faceva partecipi gli altri, mentre i tempi
ristretti ci hanno portato a lavorare molto di più insieme».
Adesso molti si sono accorti di
voi: «L’aspetto più importante è che la nostra passione è divenuta un lavoro a
tempo pieno invece che part-time. Magari prima di mettere su un brano nuovo
impiegavamo due settimane, mentre ora dobbiamo lavorare in modo più serrato. Ma
certo non ci possiamo lamentare, visto che le tre settimane a “X Factor” sono
state estremamente produttive». L’innesto in una discografia diversa quali
scelte impone al vostro repertorio? «Noi veniamo da varie esperienze anche se
ci siamo conosciuti al conservatorio Paganini di Genova. Classica e jazz fanno
parte della nostra formazione e il linguaggio del jazz ci permette tutt’ora di
ricreare brani a modo nostro facendo modo che si percepisca il nostro
arrangiamento. A tutto questo stiamo accompagnando anche pezzi originali dei
Cluster. Questa è la nostra strada attuale».
Un’ultima curiosità riguarda il
progetto Ghostfiles, di cui sono inclusi due brani nell’antologia A
Cappella Made in Italy (etichetta Preludio) e che vede la partecipazione di
alcuni di voi: «E’ un’idea del basso Andrea
Figallo, un pioniere del genere, che canta con gli inglesi Flying
Pickets e con cui collaboro dal 2003. Anche qui il nome non è scelto a
caso. Siamo fantasmi perché non vogliamo esistere se non in un progetto
musicale autonomo che ci lascia piena libertà. Nonostante tutto, i Ghostfiles
hanno avuto tre nominations ai Caras, i premi americani dedicati alla musica a
cappella». E lo stesso Erik (ce lo dice il suo MySpace) ad avere avuto altre
due segnalazioni ai Caras grazie a due arrangiamenti. E se lo dicono
oltreoceano...
Cluster
Letizia Poltini
Liwen Magnatta
Nico Nastos
Erik Bosio
Luca Moretti
Discografia
Cement, Autoprodotto, 2006
Enjoy the Silence, CNI, 2008