Il mondo
della Musica vive oggi una stagione difficile come mai, in cui tutti i sentieri
e le mansioni, i supporti e le possibilità sono messi a dura prova. Nella
scossa incertezza generale, seduti sulla conca bassa dell’onda lunga in atto,
nella nona puntata della nostra rubrica proviamo a riprendere il filo di
tradizioni e rivoluzioni con la giornalista di musica italiana Paola De Simone.
“In medio stat virtus”: se è vero che non
bisogna esagerare il grado di incidenza delle nuove tecnologie sulla musica e i
suoi mestieri, altresì il mondo, con Internet, cellulari & Co, è
oggettivamente ormai un altro. Un mondo che, nel suo farsi sempre più (e spesso
“solo”...) di comunicazione, è talmente cambiato nei suoi dettagli e passi
quotidiani da doversi chiedere se forse davvero “sia cambiato tutto”. «Internet ha un potenziale senza pari e una
forza divulgativa che non poteva non invadere anche il mondo della
comunicazione musicale. Non so come definire la rivoluzione dovuta alla Rete,
ma so che, senza, le tante barriere di prima avrebbero continuato a impedirci
di comunicare veramente. Ciò che dobbiamo principalmente a questo – ormai
consolidato – sistema divulgativo è la velocità con la quale le notizie ora
viaggiano e soprattutto l’aggiornamento in tempo reale, che altrimenti sarebbe
irrealizzabile». Una velocità e
capacità di collegamento planetario che potrebbe mostrare gli specializzati di
musica italiana come dei teneri provinciali vintage. «Il mio dedicarmi alla musica italiana non è stata una vera e propria
scelta, quanto una necessità dettata dalla passione. Ma sarebbe più corretto
parlare di “canzone italiana”, perché è verso di lei che propendo, il connubio
tra musica e testi è un gioco affascinante che mi cattura. Nel confronto con la
musica d’oltre confine forse quella del nostro Paese non ne esce vincente, ma è
una questione di numeri e non di bellezza. Se penso ai capolavori di Paolo
Conte o a quelli di Ivano Fossati, tanto per citarne un paio degni d’Olimpo, mi
domando cosa possa esserci di più bello». E’ una questione che certamente si fa anche di numeri, di lotta
impari che, nella sua esterofilia “a prescindere”, vede il mainstream
internazionale occupare la maggioranza degli spazi e la totalità o quasi degli
spazi maggiori, asfissiando prima di tutto il prossimo presente. «Una canzone di Guccini recita “certe crisi
son soltanto segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire”, forse è così
anche per questa crisi musicale che si trascina ormai da anni. Quello che mi
incuriosisce è il futuro della musica e personalmente comincio a vedere la
luce, la fine della discografia anticamente intesa. Per troppi anni i
discografici che contano hanno fatto orecchie da mercante, sapevano che
qualcosa stava cambiando, che prima o poi la musica avrebbe abbattuto con
impeto ogni diga e si sarebbe diffusa con o senza di loro. Ma questi alti
dirigenti hanno preferito insistere nella stessa e obsoleta direzione di
sempre, credendo di poter manovrare il flusso di un’arte senza margini, e oggi
stanno pagando uno scotto che meritano. La musica non è in crisi, lo è la
discografia. E’ proprio nell’occuparmi di “Provini” (programma radiofonico
dedicato alla scoperta di nuove leve emergenti) che l’ho capito: la creatività
non è affatto in crisi. In quanto al futuro di noi addetti ai lavori, sarà
sicuramente meno schematico di un tempo, “adattamento” è forse la parola
chiave, ci vogliono duttilità e flessibilità». Perché alla fine vale il proverbio “quel che non uccide,
rafforza”: fra selezione e obbligo,
un rinnovamento ci sarà. «Non riesco a
dare a questa crisi un’accezione negativa, forse perché “dal letame nascono i
fior” ed è dai momenti bui che si impara ad apprezzare la luce. Un po’ come
nell’intero sistema mondiale, la crisi ha causato un arricchimento ulteriore
degli agiati e un impoverimento degli ultimi, cancellando la classe media. Così
nella musica. I grandi sono incrollabili e grandi restano, assurgendo a giganti
nei confronti di tanti colleghi che sono perlopiù giovani realtà spuntate dai
talent show di successo. A sparire è stata anche qui la fascia media, composta
da artisti di indubbio talento, che però non si sono più visti supportare dalle
case discografiche. Credo che a provocare questa crisi sia stato il
cambiamento, prima non identificato e poi non accettato. E’ difficile accettare
che le cose cambino e che lo facciano velocemente, è molto più semplice fare
finta di niente. E così hanno fatto in troppi. A questo punto sopravvivranno
solo coloro che sapranno reinventarsi». Ma anche, sempre giocoforza, fare
più cose contemporaneamente. Un polimorfismo che da necessità può diventare
virtù, ampliando, con il mestiere, – magari – i punti di vista. «Web, radio, tv, carta stampata, libri… per
me è indifferente. L’importante è parlare e scrivere di canzone italiana. Ogni
mondo richiede linguaggi e tempi diversi, conoscerli tutti offre un’ampia
visione del settore della comunicazione e soprattutto crea il confronto con un
pubblico eterogeneo. Personalmente sono più affascinata dal web, ma la radio mi
diverte e mi ha insegnato tante cose: per esempio che se sbagli, non si torna
indietro. Scrivere è più rassicurante, parlare necessita di più autocontrollo.
In entrambi i casi è comunque l’esperienza a fare la differenza». Sarà che proprio l’incomunicabilità fra
i vari mestieri del mondo musicale azzoppa l’asino che di suo già arrancava? «Che la mancanza di condivisione e
collaborazione sia alla base dei guai non lo penso, che sia un gran peccato sì.
Anni fa conducevo un programma dedicato proprio al dietro le quinte della
musica, l’indolenza dei discografici mi ha costretto a rinunciare al progetto.
Mi ha provocato un grande dispiacere, ma ho archiviato la pratica, perché
contro l’ottusità c’è davvero poco fare. Per chi fa promozione (o per chi li
manovra) contano solo i numeri, il music control e altre menate così poco
artistiche. Quantità e non qualità, mondo usa e getta… e poi si chiedono perché
la discografia è in crisi. Io mi stupirei se non lo fosse».
Paola De
Simone
è una giornalista specializzata in musica italiana. Ha lavorato per i siti Rockol
e MusicaItaliana.com, attualmente è a capo di PopOn.it e conduce tre programmi
sulle frequenze radiofoniche del circuito InBlu (“Effetto Notte in Italia”, “Provini”
e “Il Settimanale della musica italiana”).