Il
mondo della Musica vive oggi una stagione difficile come mai, in cui tutti i
sentieri e le mansioni, i supporti e le possibilità sono messi a dura prova.
Nella scossa incertezza generale, seduti sulla conca bassa dell’onda lunga in
atto, in questa seconda puntata
della nostra rubrica proviamo ad analizzare la situazione con un addetto ai
lavori che da molti anni la Musica la “fa girare”: Annibale Bartolozzi della Upr.
La questione è macro, eppure nessuno sembra
vederla (e volerla affrontare). «Il
feticismo industriale annaspa ma il problema è la crisi di idee.
Paradossalmente ciò è più chiaro a chi gestisce la musica (produttori,
discografici, manager) che a chi dovrebbe gioirne ed attuarla, vale a dire i
musicisti: specie i più giovani vivono di imitazione del ruolo, hanno grande
preoccupazione per l’apparenza e sono molto più sbrigativi sul fatto artistico,
con scarsa autocritica e alibi a portata di mano. Non si capisce perché pensino
al proprio lavoro come ad una carriera para-statale, dove si va avanti per
invecchiamento: è evidente che non è così, ma fa niente, siccome una cosa gli è
venuta “istintiva”, questa è sacra e interesserà tutti». Ed eccoci al nodo
cruciale sul pettine: se “dal morto” la musica prende sberle, dal vivo non
riesce più nemmeno a porgere la guancia. «La
crisi è nera perché ha ceduto anche il live, e non credo che la situazione si
rialzerà a breve, il futuro lo vedo sponsorizzato e ovviamente tutto ciò che
non è pop farà fatica. La salvezza starà forse nel circuito per appassionati,
collezionisti di farfalle; ma è chiaro che le possibilità non si prospettano di
respiro». Nodo triste che si è stretto a valanga ed in cui la perdita di
credibilità di ciascuno contribuisce al collasso generale. «Spostare i grossi nomi nei club è stata l’origine della fine degli
stessi, perché così un locale lo trasformi in una music-hall senza servizi, e
generi disaffezione perdendo il meccanismo che portava la gente nei posti a
prescindere dal nome in cartellone».
E vieppiù in assenza di leggi sulla musica,
quando la cinghia risale i buchi, si punta all’autarchia. «La gestione “unica” (nel mio caso discografica, booking e ufficio stampa
assieme) è obbligata, già così si fa un’enorme fatica. Il versante più duro è
la promozione, anche qui il Belpaese si distingue per follia: le radio
rifiutano qualsiasi cosa non suoni ultrapop, in televisione l’auditel ci ha
ucciso e i quotidiani “non trovano più la notizia”. E le riviste specializzate,
che come tiratura valgono una fanzine, danno copertine anche a sconosciuti
purché stranieri, bistrattando la produzione nostrana. Il web resta il campo
d’azione privilegiato». Tutto sembra remare contro soprattutto al futuro:
un dettagliuccio. Una volta si guardava avanti puntando sul mondo indipendente,
ma – detto dell’evidente gap economico – la guerra fra le due tipologie
imprenditoriali è in realtà «...super
obsoleta, anche le major non riescono più a controllare nessuno. L’unica cosa
buona è che la concorrenza è più aperta: la gente si muove e la rete corre, se
hai idee che colpiscono ce la fai, ma il livello di “intuizione” della proposta
deve essere alto, per originalità o per moda, per contenuto o semplice
intrattenimento».
Sembra la giungla del “chi prima arriva”, meglio
se ignorante; eppure, soprattutto quando va male, conta sapere che occuparsi di
musica non è come vendere calzini. «Prima
di fare il discografico/promoter ho fatto il
musicista e sicuramente il background e la passione incidono, aiutano a
lavorare a banda larga, perché sei dentro alle cose. Oggi chi investe nella
musica è un panda coi germogli di bambù: l’idea del produttore vile mercante è
morta e sepolta, altro che speculatori». In realtà alla cultura un po’ di
management farebbe bene, in termini di approccio professionale, ed invece è la
fiera dell’hobby. «Il nostro è un
mestiere artigiano, ma investire in un ambiente che non dà ritorni se non
marginali è una contraddizione in termini. Purtroppo questo apre le porte ai
tanti cialtroni. Io non amo darmi per vinto: credo sia questo a tenermi qui,
oltre al fatto che mi capita ancora di commuovermi sinceramente». Insomma,
noi panda moriremo tutti? «Sì, ma nella
prossima vita... ».
Annibale
Bartolozzi
della Ultimo Piano Records (Upr) è discografico e promoter di musica folk-rock.
Tra le fila della sua etichetta Folkabbestia, Cisco e Porto Flamingo. Dal 2007 organizza
il festival Laratro.