ultime notizie

Lilith Festival: Genova tra pop, rock ...

di Alberto Calandriello Periodo di intensissima attività per l'Associazione Culturale Lilith, punto di riferimento per la cultura a Genova ed in Liguria, che da pochi giorni ha dato il ...

Gli omaggi, i soliloqui… e tutto il resto

Due tendenze molto in auge nel jazz contemporaneo fanno sentire la loro presenza in una serie (cospicua) di uscite recenti.

 

Il cd (una preziosa ristampa) con cui apriamo questa odierna puntata (trafficatissima, e quindi spedita) sintetizza al meglio il doppio binario (principale) che seguiremo, trattandosi di un omaggio in solo, oltre tutto a un artista, Steve Lacy, che del solo ha fatto un po’ il vessillo. Qui a omaggiarlo è un clarinettista (soprano e basso), Giancarlo Nino Locatelli, che in Situations (We Insist!) ripropone pagine fra le più alte e celebrate del grande sopranista con una corrispondenza di intenti, un rigore e una pulizia assolutamente esemplari. Altri omaggi a sassofonisti/polistrumentisti che a diverso titolo hanno segnato gli ultimi sessant’anni (e più) di vicenda musicale afroamericana non raggiungono livelli altrettanto elevati. Così Different Moods (Notami) del quintetto di Stefano Contorti, pur onestissimo, non restituisce adeguatamente la voracità di appetiti di Yusef Lateef; così, più ancora, si rivela un’impresa titanica il tributo che in Vol. 1: Music of Henderson, Shorter and Coltrane (Abeat) il bassista Pietro Pancella rivolge in un sol colpo a tre mostri sacri del sax tenore (e non solo), curiosamente impiegandovi però un sax alto (Manuel Caliumi). Buone geometrie, molto lavoro a monte, per un prodotto ben confezionato ma alla fine alquanto di maniera.

Meglio vanno le cose in Ornettiana (Aut) della cantante Monica Nica Agosti, che omaggia il padre del free jazz rileggendone tre sole pagine (sulle undici totali) e per il resto affidando le cure del suo quintetto Shapex (con Tobia Bondesan al sax alto e Tommaso Iacoviello alla tromba, nei ruoli che furono di Ornette Coleman e Don Cherry) a brani originali che a volte ne rispettano lo spirito e a volte no, per un cd comunque di pregio, come (ancor più), uscendo dall’ambito sassofonistico, A Journey in Motian (TAG), in cui il batterista Luca Colussi, alla testa di un quartetto in cui spicca il sax tenore di Francesco Bearzatti, omaggia l’illustre collega di strumento – nonché, se non soprattutto, compositore e bandleader Paul Motian, confezionando un album di sicura forza e originalità di trattamento lungo ben diciotto brani.

Chiudendo con i tributi (almeno quelli dichiarati), eccoci a Jelly Roll Plays Morton (Jazzwerkstatt) del quintetto della baritonista altoatesina Helga Plankensteiner (foto in alto), con Achille Succi al clarinetto basso, di clima fisiologicamente trad, rigoglioso, swingante, estroverso, del tutto in linea col contesto, così come, stesse firmataria ed etichetta, Barionda, quattro sax baritoni più doppia batteria lanciati su pagine di Mingus, Mulligan, Girotto e altri con un piglio di sicuro effetto. E sax baritono sugli scudi, in un clima ben più magro, contemplativo, nel solitario (eccoci) Echoes (Caligola) di Dario Cecchini, leader dei turbolenti Funkoff che qui si raccoglie in una pieve fiorentina sfruttandone ogni anfratto per un lavoro di grande fascino e suggestione.

Solitario e raccolto, ma di tono più aperto, è poi Vibraphone Solo in Four Part(s) (Dodicilune) di Sergio Armaroli, quanto mai prolifico in questi anni, laddove So Much Time (Ramble Records) di Francesca Naibo, chitarra, voce e diavolerie varie, sfoggia un chiaro afflato di ricerca, originale e ben articolato, nella mezz’oretta scarsa su cui si sdipana, in ciò trovando ottima sponda in Branch Out (Da Vinci) del duo Threshold, alias Fabio Mina e Francesco Savoretti, entrambi polistrumentisti, il primo soprattutto flautista, il secondo più aduso all’elettronica, belle sonorità per un prodotto coraggioso quanto equilibrato, il che vale ancor più per l’impeccabile impro per due contrabbassi che occupa il live Confluence (Parco della Musica) fra uno dei pontefici massimi dello strumento, Barre Phillips (foto sotto), e il nostro Gabriele Roccato. Bellissime sonorità ad intarsio, ora pizzicate, ora archettate, per poco più di mezz’ora di interscambio intenso quanto giocato in estrema souplesse. Disco assolutamente necessario.

 

Ancora un duo a base di contrabbasso, più sax alto e soprano, sta al centro di More or Less (Da Vinci) di Stefano e Tommaso Profeta, che da posizioni certo più prudenti, diremmo classiche, affrontano più o meno noti temi americani e nostrani (ancora repertorio, quindi, pur se a più firme), mentre in Book of Innocence (Notami) torna Achille Succi (qui anche al sax alto) in coppia col pianoforte di Stefano Travaglini su composizioni di quest’ultimo (salvo Travels di Pat Metheny) in un dialogo pieno, aperto, anche se magari meno ardito di quanto potessimo attenderci.

Torna il contrabbasso, nelle mani di Silvia Bolognesi, e tornano (da “Ornettiana”) il sax alto di Tobia Bondesan e la batteria di Giuseppe Sardina nel trio Beast Friends diretto dalla bassista senese, che firma Don’t Shush Me! (Fonterossa), dieci brani tutti di loro pugno che denotano un approccio vitale e fortemente collettivo alla materia sonora, e subito dopo quello stesso contrabbasso sparisce per far posto a un pianoforte (Fabrizio Puglisi) in Kalaima (Aut) di Filippo Orefice, sax tenore e clarinetto, disposto su terreni non troppo dissimili, cioè nel solco di quella New Thing che tanti anni fa instillò nella grammatica jazzistica elementi che ancor oggi continuano nello spirito a ispirare musicisti che evidentemente non si accontentano della solita minestra riscaldata. Due ottimi esempi ne sono appunto, pur su posizioni aggiornate, i due cd di cui sopra.

È un sorta di rimpasto di questi due trii, con piano e contrabbasso insieme, il quartetto artefice di Hidden Rooms (Parco della Musica) del bassista Marco Centasso (con Marco Collodel al clarone), lavoro molto ben rifinito, meritevole soprattutto sul piano della scrittura e dell’amalgama di gruppo. Il quale ultimo non fa difetto neppure a Past Present (ancora PdM) del veterano tenorsassofonista romano Maurizio Giammarco alla testa di Rumours, altro quartetto, con tromba (Fulvio Sigurtà), basso (Riccardo Del Fra) e batteria, che si muove su terreni più classici, molto curati e abilmente esposti. Al confronto quasi blasfemo (è un elogio, a scanso di equivoci) appare Hide Nothing (Aut) del quintetto Tell No Lies, dove torna Filippo Orefice, solo al tenore, come Edoardo Marraffa (lui anche al sopranino) e piano trio guidato da Nicola Guazzaloca, per una musica che ci verrebbe da definire di emanazione ayleriana con interferenze varie e bei tocchi originali, largamente presenti anche in Vanishing Point (Parco della Musica) del nonetto (con quartetto vocale intrinseco) diretto da Mauro Campobasso, corde ed elettronica varia, e Mauro Manzoni, ance e lui pure elettronica, lungo tracciati più diversificati (nel senso che il jazz ne è solo uno degli elementi) e architetture saldissime.

 

In ulteriore espansione di organico, eccoci all’ensemble del batterista Andrea Ruggeri (ARE), tredici elementi ancora con presenza vocale (Elsa Martin) e diversi bei nomi (Mitelli, Mirra, Del Barba, Corini…), nell’eccellente Musiche invisibili (Da Vinci), ancora più spinto sul terreno di una contemporaneità extra-jazzistica, il che non vale invece, concludendo, per No More Wrong Mistakes (Parco della Musica), ultimo nato della Lydian Sound Orchestra, glorioso ensemble diretto dal vicentino Riccardo Brazzale che nella fattispecie ha saputo aggiungerci il grande David Murray al sax tenore (foto sopra) lungo pagine sue e dei vari Ornette Coleman (sorta di nostro odierno fil rouge), Butch Morris, Duke Ellington, Herbie Nichols, ecc., sempre affrontate dall’alto di una solidità d’impianto assolutamente invidiabile.

Foto di Alberto Bazzurro (Coleman, Plankensteiner, Murray) e Michael Hoefner (Phillips).

Share |

0 commenti


Iscriviti al sito o accedi per inserire un commento