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Gruppi a Capitale Collettivo

A conti fatti, si dividono in due categorie: quelli in cui esiste un leader, ma il suo nome è abbinato a un altro, collettivo, e quelli in cui la condivisione è invece integrale. Fra i primi (più rari), nella storia del jazz possiamo ricordare la Roach & Brown Inc., n(ella moltitudine d)ei secondi il Modern Jazz Quartet o il Weather Report. Sono quelli che abbiamo chiamato i Gruppi a Capitale Collettivo (diciamo che nel primo caso è come se ci fosse un socio di maggioranza particolarmente facoltoso…). Capita che si formino anche alla bisogna, tipo Il Trio (niente meno: in assoluto…, come già negli anni Settanta The Trio, alias Surman, Phillips & Martin), come si sono (immodestamente?) battezzati Enrico Intra, Giovanni Tommaso e Roberto Gatto (foto sopra) per incidere CanzoniPreludiNotturni (Alfa Music), disco di sicuro pregio ad onta di un avvio non esente da una qualche ovvietà (specie conoscendo Intra, autore di quasi tutti i temi). Il seguito, infatti, fa registrare una lievitazione qualitativa evidente, fra momenti più ariosi e cantabili e impennate più ardite e frastagliate.

Un trio a tutti gli effetti è senz’altro Wasabi (Feliciati/Gwiss/Smimmo), che in Closer (Via Veneto) ospita in tre brani (su undici) il forte trombettista vietnamita Cuong Vu. Le cose migliori, in generale, arrivano allorché i tre (o quattro) non si mimetizzano dietro il paravento (un po’ incapsulante) dell’elettronica, soprattutto nel dittico centrale (con Vu) Ancora autostrade/Country Girl, astratto, evocativo e prezioso, come del resto il conclusivo La bufera (in trio).

Se Wasabi si amplia solo qua e là a quartetto, istituzionalmente tale è l’Emerald Quartet di Claudio Fasoli (foto sotto, di Roberto Cifarelli), protagonista di Reflections (Blue Serge), in cui il veterano sassofonista (soprano e tenore) veneto ribadisce una volta di più la sua cifra stilistica, un approccio molto concentrato e attento alle strutture (quindi squisitamente da compositore). Colpiscono peraltro, qua e là (Stucky, Fortuny), tracciati più nervosi e frammentati del solito, a inspessire ulteriormente il ventaglio espressivo del cd, in cui sempre impeccabile è l’apporto del trio Zara/Goloubev/Zanoli, non a caso attivo anche per suo conto.

Salendo di un gradino, eccoci ai quintetti. Che sono due. Il primo, emanazione diretta del Perfect Quartet, si chiama – va da sé – Perfect Quintet, è guidato dal batterista siciliano Francesco Branciamore e ha da poco edito l’ottimo Keep up the Dialogue (Caligola), in cui le strutture compositive hanno modo di espandersi, solide e generose, su spazi ampi (tre dei quattro brani superano i 12’), felicemente articolate specie nella titletrack, dal sapore cameristico-free (almeno in avvio), e in Trium, dove brilla soprattutto il piano di Giorgio Occhipinti. Impeccabile l’apporto anche degli altri – Elio Amato, ottoni, Gaetano Cristofaro, ance, e Pino Guarrella, contrabbasso – tutti siciliani, così come tutti pugliesi sono i membri dell’Urban Sciety del sassofonista Gaetano Partipilo protagonista di Upgrading (Jeb), album live su cui, qualitativamente parlando, si elevano alcuni episodi della Suite 36, tipo il primo, con un superlativo Mirko Signorile (piano; gli altri sono i fratelli Bardaro, vibrafono e batteria, e il bassista Giorgio Vendola), il secondo e il quarto. Altrove intenzioni, certo lodevoli, ed esiti reali non marciano sempre di pari passo.

Decisamente più nutrito (undici elementi) è l’Open Combo.che firma Large (Fonterossa), notevole album che di fatto ha portato la contrabbassista senese Silvia Bolognesi, sua prima artefice (quasi tutto suo il materiale tematico), a essere eletta miglior nuovo talento al Top Jazz 2010.  Fra insiemi pieni e rigogliosi (di tratto per certi versi mingusiano) e sezioni più cameristiche, l’album riserva non pochi momenti di grande musica, così come il live Howl (Caligola), che vede il pianista friulano Claudio Cojaniz accanto alla N.I.O.N. Orchestra, forte fra gli altri di nomi di spicco dell’attuale panorama jazzistico nazionale quali i vari Schiaffini, Bearzatti, Gallo, De Rossi, oltre al già incontrato Cuong Vu, tutti in grado di illuminare le cinque pagine, tutte di Cojaniz, già per conto loro ricche e screziate, fra la delicata solennità di Requiem for Che e le venature elegiaco-popolari di Howl, pienezza e vitalità d’insieme, momenti vociferanti e voltapagina continui (specie in Medicine Man).

Chiudiamo con l’opera più eterodossa e corposa del lotto, Weather Underground (Banksville), doppio cd di SADO (Società Anonima Decostruzionismi Organici), di fatto un sestetto i cui elementi di spicco sono il polistrumentista Paolo Baltaro e il cantante Boris Savoldelli, ma che nello specifico coinvolge vari ospiti tra cui, come voci recitanti, Guido Michelone e Stevn Thomas, uno per il cd in italiano, l’altro per quello in inglese. I due dischetti sono di fatto omologhi: venticinque episodi ciascuno, dominati da un evidente gusto per il frammento, per la boutade – anche – più o meno apocalittica, sorta di “frullato”, di pastiche a tratti demenziale, o neo-dada, di melodramma contemporaneo non immune dalla lezione dei beat americani così come di “geni malefici” tipo Zorn o Waits, il tutto servito da sonorità molto downtown. Un lavoro tutto sommato non facile da descrivere, ma di fruizione senz’altro stimolante.

 

P.S. Qualcuno, fra i lettori di questa rubrica, ricorderà quel Quasi come Totò in cui tempo fa ci soffermavamo sul Jazz Club Cuneo, il quale ha di recente pubblicato, a tiratura limitata, un bel dvd di un’ora e tre quarti, Abstract 2009-2010 (Glocalmedia), con riflessi della prima stagione post-riapertura. Fra musica e altro (anche un incontro con Piergiorgio Odifreddi), spiccano i due brani della flauto-sassofonista americana Carol Sudhalter, fra l’altro tornata al club il 17 gennaio. Lo stesso club, specificatamente nella persona di Enrico Sanna, ha varato in settembre (con appendice invernale in dicembre) un sax-festival intitolato ad Attilio Donadio (anche di lui si parlava in “Quasi come Totò”) la cui presenza-clou è stata quella di Pietro Tonolo (foto qui sopra). Ora sembra che – come per tante realtà, piccole e grosse, in giro per l’Italia – la desolante congiuntura finanziaria e i conseguenti tagli alla cultura stiano mettendo a repentaglio il futuro di questo piccolo paradiso terrestre. Un sincero in bocca al lupo.

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