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Il Beatbox

E' stato uno dei primi cantanti a portare la tecnica del Beatbox in Italia. Davide Chiesa, attualmente con i Vocalica, ha iniziato a cantare  in ambito a cappella inizia negli anni novanta con l'ingresso nel sestetto misto Jazzn Jam, pioniere del genere ”Contemporary a cappella”in Italia e vincitore del "Premio Quartetto Cetra". I Jazz'n Jam furono tra i primi, per lappunto, a proporre la figura del "vocal percussionist".

Ha sempre svolto questo ruolo? «Sì, perché successivamente ho fondato, con Marco Bottazzi, la band maschile TempOrale con quale abbiamo creato un repertorio che proponeva sistematicamente un maggior peso al ruolo della percussione vocale negli arrangiamenti, sia in termini di volume, sia di importanza nella ritmica. Nel mio attuale gruppo, i Vocalica, sono uno dei tre percussionisti vocali che si alternano a seconda del brano che si esegue, questo a dimostrazione delle variabili che può fornire questo ruolo (tipologia di suono, grado di difficoltà di articolazione della ritmica e velocità di esecuzione). Inoltre ho anche avviato un nuovo progetto musicale con un trio acustico (i MESIDA ricordare) che prevede una voce solista, una chitarra acustica e la ritmica vocale eseguita con Drum’n’Bass dal sottoscritto. Ho affinato la mia tecnica con gli statunitensi Wes Caroll e Jake Moulton ed ho partecipato come docente ad alcuni seminari sia in Italia sia all’estero».
Può dare una spiegazione del termine Beatbox? «E' di fatto l’imitazione delle percussioni con la voce. Personalmente però distinguerei due differenti tipologie di tecnica, ovvero la Beatbox, così definita, che nasce con il movimento Hip hop (che ha come pioniere e massimo esponente Rahzel) che si basa su virtuosismi vocali (esempio due suoni in contemporanea) e velocità di esecuzione. Spesso viene praticata da “solisti” che si sfidano in improvvisazioni durante jam session o raduni di beatboxer. Quando viene abbinata al suono di basso, eseguito in alternanza al suono di percussione, prende il nome di Drum’n’Bass».
L'altra? «E' la Vocal Percussion o mouthdrumming che invece si basa sull’imitazione del suono di ogni singola componentistica della percussione (rullante con pelle tirata o meno, spazzole, cassa, charleston aperto e chiuso, tom, congas, campanaccio, maracas, piatti) ed è quella che viene utilizzata nei gruppi vocali di matrice “Contemporary a cappella music”. In questo genere infatti l’accompagnamento di vocal percussion e di basso, hanno un ruolo puramente ritmico dovendo stare sul tempo in maniera regolare (senza improvvisare), per non creare problematiche agli altri componenti della band durante l’esecuzione di un brano».
i MESIDA ricordare
Quando è che il genere è arrivato in Italia? Soprattutto è stato adottato da solisti o da gruppi? «Anche in questo caso la risposta va scissa in due perché il movimento Contemporary a cappella ha iniziato a svilupparsi negli anni novanta all’interno di alcuni gruppi vocali innovativi (Jazz’n Jam, Vocalica, Neri per Caso e altri) per poi svilupparsi, chi più chi meno, in quasi tutti i gruppi presenti sull’attuale scena nazionale, mentre il genere beatboxing si è sviluppato più tardi, con l’avvento della hip hop, con la crazione di un vero e proprio movimento di “solisti” beatboxer che si incontrano e sfidano durante raduni nazioni».
Il gusto per la melodia tipicamente italiano può convivere con il Beatbox?  «Assolutamente sì, la dimostrazione è il mio nuovo progetto con il trio acustico con i quali proponiamo prevalentemente blues e country, ma anche brani italiani, il tutto accompagnato da ritmica “100% vocale” e assicuro che il connubio è veramente piacevole e direi anche innovativo».
Un parere sulla scena italiana attuale, sia dal punti di vista quantitativo che qualitativo... «Ci solo validi esponenti in Italia di entrambe le correnti che nulla hanno da invidiare ai colleghi stranieri, certamente gli americani possono sempre vantarne l’invenzione. Per quanto riguarda la quantità siamo ancora indietro, ma il numero sta crescendo in maniera esponenziale. Agli inizi della mia attività di vocal percussionist, nonostante la mia tecnica fosse più rudimentale di adesso, la gente mi ascoltava rimanendo incredula, mentre oggi arrivano ai nostri concerti spesso consapevoli dell’esistenza di questa figura vocale, sebbene questa tecnica desti sempre grande fascino».

La musica vocale in Italia soffre il fatto di essere un prodotto di nicchia. Il Beatbox può aiutare a farla uscire allo scoperto? «Purtroppo devo confermare questo limite. Anche se “X Factor” ha contribuito notevolmente alla divulgazione del genere, continua ad essere un prodotto di nicchia sia in termini di popolarità sia di investimenti. L’opinione della gente è che la musica a cappella sia tutta uguale solo perché è eseguita senza gli strumenti, tralasciando il fatto che magari uno propone madrigali piuttosto che classica, pop, jazz o rock. Manca un cultura di base. Negli Stati Uniti i gruppi vocali spesso si formano già nelle scuole o nei college (vedi il caso dei Take 6).Per tornare sul tema beat box, questa tecnica può contribuire all’arricchimento di un gruppo vocale (sempre se applicata correttamente al genere proposto, altrimenti può anche fare l’effetto opposto), ma credo che difficilmente possa fare emergere da sola il genere vocale nel nostro Paese».

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