A poche miglia
di mare dalla nostra Isola c’è l’Arcipelago
Jazz. Da tempo lo stavamo adocchiando, ogni tanto in passato l’abbiamo
anche esplorato. Questa volta però si piantano fisse le tende e lo si scopre in
lungo e in largo. Una nuova rubrica de L’Isola che non c’era, un viaggio nel
jazz italiano più o meno sotto i riflettori, attraverso aree geografiche, etichette, rassegne e quant'altro. Ci fa da
guida Alberto Bazzurro.
Esiste
un jazz friulano? Probabilmente non è il caso di essere così drastici e – forse
– settari, tuttavia è innegabile che ormai da diversi anni questa strana
regione-crocevia di più culture ha un proprio suono, fatto di musicisti ma non
solo. Esiste per esempio, in quel di Cavalicco (UD), uno studio alquanto
rinomato, Artesuono, che, oltre a
ospitare per esempio numerose sedute della prestigiosa ECM, ha pure una sua etichetta.
Ne è responsabile Stefano Amerio.
Ne
diremo fra un attimo. Per il momento parliamo un po’ di musicisti. C’è in
Friuli tutto un “cenacolo” di artisti decisamente creativi che coltivano
progetti in proprio ma non disdegnano di riunirsi tra loro. E’ il caso di Massimo De Mattia, flautista, e Denis Biason, chitarrista, che qualche
mese fa hanno pubblicato il loro secondo album in duo, Duel (Setola di Maiale),
sedici brani tutti a loro firma attraversati dallo sperimentalismo tipico
specie di De Mattia, magistrale interprete dell’intera gamma che va
dall’ottavino al flauto basso (ma, per contrasto, a stupire è soprattutto
Biason). Un disco mai banale, ardito ma non per questo ostico, ora nervoso e
incalzante, ora più pacato e cogitabondo.
Con
l’aggiunta di Bruno Cesselli al
piano e del batterista sloveno Zlatko
Kaučič, Biason e De Mattia (che ne è il primo responsabile) firmano poi Mikiri
(Splasch), altro lavoro di pregio, libero e veramente paritario nei
ruoli, i cui momenti più alti possono esser colti nell’ampio Prometeus (di Giovanni Maier, altro
friulano DOC) e in Something Sweet,
Something Tender di Eric Dolphy, maestro di tutti i flautisti jazz, nonché
in alcuni dei sei brani di De Mattia (Siderale,
Sakki, Christine, Dolls).
Passando
in casa Artesuono, sono freschi di stampa due album di un’altra colonna del jazz
friulano, il clarinettista e sassofonista Daniele
D’Agaro, il quale in primo luogo firma con l’organista Bruno Marini e col glorioso batterista olandese Han Bennink (D’Agaro ha vissuto a lungo
ad Amsterdam) The Tempest, lavoro
per la verità non del tutto convincente in rapporto alle forze in campo. Vi si
respira infatti un clima fin troppo disimpegnato, da blowin’ session, solo parzialmente riscattato dai brani meno
prevedibili (tipo Claribel, the Queen of
Tunis).
Analogo
disimpegno, ma con più arguzia, caratterizza anche Gipsy Blue, i cui brani di gustoso sapore d’antan recano le firme più disparate, compreso Tom Waits e gli
stessi D’Agaro (qui solo al clarinetto) e Mauro
Ottolini, trombonista-tubista dall’inesauribile energia. Il terzo
firmatario del disco è il fisarmonicista Titti
Castrini, ma non mancano gli ospiti. Fra i quali ancora Biason, alla
chitarra e all’oud. E se diciamo che Biason, D’Agaro, Ottolini e De Mattia
hanno anche fatto parte, nel 2007, di un notevole quanto purtroppo mai
replicato quartetto denominato Ulysses (vedi foto in alto), ecco che l’idea di cenacolo prende
sempre più corpo.
In
realtà Ottolini è vicentino, così come il vibrafonista Saverio Tasca (foto sopra), di recente anche nella band di Ivano Fossati, che
con Juracamora firma il lavoro più
prezioso del poker Artesuono (fra l’altro con una splendida copertina di Igor
Tullio, come anche il successivo). Lo confeziona un quintetto che solo per lo
strumentario (vibrafono, fagotto, chitarra e percussioni) meriterebbe la
massima attenzione. In realtà c’è molto altro: impeccabili geometrie
compositive (le firme prevalenti sono quelle di Tasca e del chitarrista Roberto
Gemo), un tratto elegantemente cameristico, nessuna frizione tra scrittura e
improvvisazione. E una certa originalità, che non guasta mai.
Un
invidiabile equilibrio segna anche l’ultimo album Artesuono che incontriamo, Travellers¸ dovuto a un altro senatore
del jazz friulano, il batterista U.T.
Gandhi (al secolo Umberto Trombetta), il quale, attorniato da quattro
promettenti giovani strumentisti, omaggia il jazz elettrico di scuola
davisiana. Vi figurano riletture di autentiche icone, da Miles Davis alle sue
penne più alte (Joe Zawinul, Wayne Shorter, Hermeto Pascoal) riconducibili a
dischi-chiave quali “Nefertiti”, “Bitches Brew”, “Live Evil”, ecc., compresi i
primi dei Weather Report, di cui com’è noto Shorter e Zawinul furono i
fondatori. Un lavoro filologicamente rigoroso, magari un po’ ingabbiato
strutturalmente, ma di sicuro valore.
E
chiudiamo spostandoci nei capoluoghi delle regioni limitrofe e ad altra
etichetta per dire dell’imperdibile Attenti
a quei due (WM Boxes), appena
edito, che vede fianco a fianco il glorioso polistrumentista veneziano Renato Geremia, classe 1930, e il
percussionista trentino Tony Rusconi,
due autentici guru dell’avanguardia jazzistica nostrana. Sono settanta minuti
di improvvisazione senza rete e senza soste, raccolti in febbraio a Radio
Popolare, in un susseguirsi di umori e situazioni determinati dai continui
cambi di strumento di Geremia (ne suona ben sette: sax soprano, alto e tenore,
clarinetto, flauto, violino e piano). Un disco assolutamente liberatorio.