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Insistere, sempre

Due serate speciali e le nuove uscite nel nome dell'etichetta milanese
We Insist!, fra le più coraggiose del panorama internazionale.

 

In sei anni di attività, l’etichetta We Insist!, con sede a Cernusco sul Naviglio, si è imposta e regolarmente confermata come una delle realtà discografiche più significative, ma soprattutto coraggiose, nel suo dedicarsi caparbiamente al jazz di ricerca, del settore specifico, in Italia e non solo. Attorno a essa gravita una ormai abbastanza nutrita schiera di musicisti che hanno deciso di battere strade ben poco consolatorie e rassicuranti, soprattutto in questi tempi che, con termine un tempo persino abusato, definiremo decisamente “di riflusso” (se non proprio di restaurazione bella e buona).

Alla Casa delle Arti appunto di Cernusco, il 18 e 19 maggio si sono svolte due serate che definiremmo senz’altro di festa – e celebrazione? perché no? – dell’etichetta (e relativa fondazione, nata a fine 2022). Alla prima abbiamo partecipato, perché, al già ricco piatto dei musicisti “di casa”, si univa un trio d’eccezione, Jones Jones, composto da tre monumenti del jazz di ricerca e della free impro internazionale: gli americani Larry Ochs, dal 1977 colonna del Rova Saxophone Quartet, e Mark Dresser, storico bassista di Braxton, Berne e Zorn fra gli altri, e il batterista lituano Vladimir Tarasov (foto sotto), uno dei padri nobili del jazz ex-URSS. I tre, assieme dal 2009 (quattro dischi all’attivo), hanno dato un’ulteriore lezione di interplay, magari non nel senso jazzistico tradizionale, ma certo in quello precipuo, foriero di risultati che nascono proprio dalla somma e l’intesa, il respiro comune, delle individualità in gioco. Nel caso specifico, il gioco è la libera improvvisazione, senza nulla di predefinito (men che meno temi preesistenti) che non tragga origine dalla capacità di suonare assieme, di creare assieme, di ascoltarsi e gestire gli spazi con un senso della forma profondo e – quello sì – preesistente, insito in ciascuno e coltivato con cura e dedizione costanti.

Nel secondo dei tre set di mezz’ora ciascuno, poco più poco meno, la stessa pratica è stata sposata da due – appunto – dei figli prediletti di We Insist!, il clarinettista (in questo caso contralto) Giancarlo Nino Locatelli e il pianista Alberto Braida, che hanno scandagliato terreni più preziosi, a tratti quasi impalpabili, di estrema eleganza, laddove il set del trio, pur privilegiando a sua volta un eloquio meditabondo, sospeso, è stato attraversato da maggiori fremiti e qualche quanto mai opportuna intemperanza.
I cinque hanno quindi dato vita tutti insieme al gran finale (foto in alto), confermando quale grande tesoro risieda nella capacità di ascoltarsi, mai intendendo prevaricare chi ti suona accanto, ma anzi valorizzandone le peculiarità, sempre in funzione del collettivo. E ora pare che la cosa possa trovare quella testimonianza discografica che certo l'eccezionalità dell'occasione (non solo il quintetto, ma anche ciò che l'ha preceduto) merita e in qualche modo richiede, quasi pretende.

 

Il secondo giorno (noi assenti), ad aprire le danze fin dalle 17 è stato un settetto ancora con Braida e Locatelli, più Gabriele Mitelli, Sebi Tramontana, Luca Tilli, Andrea Grossi e Cristiano Calcagnile. A seguire è stato presentato, live dai diretti interessati, il cd Axes, firmato dall’appena citato bassista monzese Andrea Grossi col suo Blend 3, per l’occasione rinforzato dal batterista americano Jim Black (Berne, Caine, Dave Douglas...). Il disco, ricevuto in anteprima, ha una struttura nervosa e frastagliata, ora più nebulosa ora più diretta, sempre attraversato da un palpabile movimento intestino.

Dopo un aperitivo, quanto mai opportuno visto che di festa – come dicevamo – si trattava, alle 20,30 è stato poi presentato un secondo album, Medea, due ampie improvvisazioni di poco meno di venti minuti ciascuna (le due facce del relativo lp) firmate in coppia dal bresciano Gabriele Mitelli e dall’americano Rob Mazurek, uno dei sommi sacerdoti del jazz del nuovo millennio, entrambi trombe, voci ed elettroniche varie. Il disco, a sua volta ascoltato in anticipo, si svolge lungo direttrici mobili e irregolari, fra rumorismi sparsi e suoni che sembrano come galleggiare in un mare magnum denso e (spesso) disadorno.

Già che ci siamo, cogliamo l’occasione per riferire di altri due album sempre targati We Insist! usciti in precedenza e non ancora trattati in questa rubrica. Il primo, Empty Smile, è per violoncello solo e si deve a Luca Tilli (già nel settetto delle 17…), che lo attraversa dando di piglio al suo strumento (archettato ma anche pizzicato) in sedici brani fitti fitti (da un minuto e mezzo a poco più di quattro) che non lasciano scampo, se così possiamo dire, nel senso che ogni spazio è riempito da un incedere incalzante, vitalistico, pur con qualche oasi un po’ più sfrangiata (per esempio in Providence).

Il secondo e ultimo album, Banquet of Consequences, è invece in sestetto e reca la firma del bassista milanese Antonio Borghini, con coéquipiers internazionali (incisione berlinese del marzo 2023) fra i quali spicca il tenorsassofonista e clarinettista inglese (nonché olandese d’adozione) Tobias Delius (foto sotto, immerso in una selva di leggii...). Disco solido, anche rigoglioso, con periodici inserti tematici che ne scandiscono (per così dire ne impaginano, e al tempo stesso ne distendono) lo svolgersi. Otto i brani, su tempi e modalità differenti, di grande impatto (e impronta) soprattutto corale, anche se gli apporti dei singoli hanno modo di risaltare a dovere.

 

E qui ci fermiamo. Ben Sapendo che della produzione targata We Insist! avremo modo di rioccuparci quanto prima.

Foto di Alberto Bazzurro

 

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