Terzo
appuntamento con la nostra rubrica dedicata ai dischi “perdenti” degli anni
novanta con Tabula rasa elettrificata
dei C.S.I.. Un lavoro che mentre
scalava le classifiche di vendita di quegli anni sanciva la fine della
formazione emiliana – in combutta con una serie di vicende politiche e
biografiche riguardanti i due leader Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni –
e lasciava via via sempre più orfana una generazione che era cresciuta con le
parole di uno dei maggiori cantanti-pensatori della musica italiana, egli
stesso dichiaratosi ad un certo punto “orfano” e diretto su una via che ha
lasciato stupiti, se non addirittura indignati, i più. Ma anche questo, d’altra
parte, è essere i “loser” di un decennio: e uscirne vivi – magari passando da
un seminario – non è stato per niente facile. Come sempre, ci racconta tutto
Marco Boscolo.
Chissà se riesce a guardarsi allo specchio. Non
tanto perché si debba vergognare di qualcosa. Ma per me, solo per me. Per
qualche tempo Giovanni Lindo Ferretti
è stato il mio padre spirituale, prima e dopo che me ne uscissi dal seminario.
Lo è diventato mentre lo guardavo cantare con il suo viso da pastore errante
dell'Asia sulla benemerita, nel senso più nobile del termine, Videomusic. Dal vivo, assieme a figuri
strani quanto lui: Giorgio Canali
che suonava scalzo le sue chitarre disturbate, un barbuto Gianni Maroccolo che sembrava la caricatura di tutti i musicisti
tipo-Cisco a venire, un Francesco
Magnelli ai tasti bianchi e neri con il capo chino pieno di rispetto per la
musica e un Massimo Zamboni che
assomigliava già a un incrocio caricaturale tra Lou Reed e Keith Haring. Tutto
conta poco o niente quando sei adolescente e lui intona cantilene che hanno il
sapore di un continente: «e donne
strette dentro scialli neri / vennero a reclamare scelte chiare / stavano i
vecchi accovacciate ai muri / attenti i bimbi attenti i cani attenti».
Tutti i Balcani dentro quattro versi. Con Giovanni Lindo che si alza dallo
sgabello, le braccia allargate verso un pubblico che non guarda, perché tiene
gli occhi chiusi vedendo un altro mondo.
Da lì è stato solo un imparare a memoria testi
che insegnavano sempre qualche parola nuova. Canzoni che scrivevano di luoghi
che non rientravano nella mia geografia di allora e che, spesso, non entrano
nella geografia degli italiani di oggi: Marzabotto, Sarajevo, Mongolia,
Yugoslavia, Montesole. Ho faticato su Linea gotica, sulle letture
totalmente nuove di Fenoglio, sul
significato di ogni singola parola, anche quelle che pronunciate dalle sue
labbra destavano lo sguardo indifferente di Canali (o almeno così mi è sempre
sembrato nei live). Ho anche compiuto la mia parabola punk all'incontrario,
recuperando l'intera discografia dei C.C.C.P.
dopo l'epifania di quella serata in diretta su Videomusic. Ho cercato di
trovare un'angolazione privilegiata che inquadrasse il punk e In viaggio,
Mi ami? e Fuochi nella notte in un solo fotogramma. Senza
riuscirci. Ero innamorato. Di un amore come quello di Battiato in E ti vengo a cercare (non a caso ripresa dai C.S.I.). Un amore come quello che ho
provato per Dio quando ho varcato le soglie del seminario, convinto che il mio
posto nel mondo fosse nella penombra di una cattedrale gotica a decifrare il
vero volto del Figlio dell'Uomo. Oggi posso dire che c'è stato un periodo in
cui ho tradito più spesso Dio di quanto non abbia fatto con Giovanni Lindo
Ferretti, i C.S.I. e la loro musica. Tanto che oggi mi provoca un dolore
lancinante proprio qui, tra le costole, lo scriverne senza piangere.
Anche quando arrivò T.r.e. (Tabula rasa elettrificata),
nonostante le interviste alla televisione per un classifica per la prima volta
guardata dall'alto verso il basso, ho dovuto tirare fuori l'enciclopedia. Per
cercarci la storia di Bolormaa, per misurare con gli occhi le distese
del deserto dei Gobi. Tutto comincia con una voglia bolscevica di
distruggere l'intimità di Linea gotica: qui la linea è, profeticamente,
spostata a Est anni prima che noi imparassimo a dire Cindia, secoli prima che
sentissimo parlare di un talebano. Da quel che resta dell'URSS, i C.S.I. ci
indicano una prospettiva che spazza via in pochi minuti tutto l'islamismo
sufico di Battiato. Con il dittico finale di Matrilineare e M'importa
'na sega ci ricordano chi progettava di mandare a fanculo la tecnica nella
lingua di Dante. Sembrava la quadratura del cerchio: ritorno alle radici. In
mezzo lo splendore melodico di Ongii, la potenza metafisica del mantra
dell'universo: «Om mani padme ohm»,
«l'aria serena e di sostanza
sferzante». Per una volta non c'era bisogno di spiegare niente: la
bellezza aveva trionfato, facendo vendere il disco, mettendoci tutti noi
discepoli su di un piano diverso. Ma non sapevamo che era solo l'inizio della
fine.
I C.S.I. rimarranno sempre un kohan
irrisolto, un equilibrio che ha cercato di rendere adulto il pop-rock italiano,
uscendo dallo schema cantautoriale e proponendo una via unica, stretta come la
cruna dell'ago, impossibile come tutti i sogni più belli. Si è infranto quando
i C.S.I. si sono sciolti, colpendo come uno schiaffo in faccia tutti gli
adoratori del culto. È stato come se Dio rinnegasse la Madonna, come se tuo
padre avesse ucciso tua madre, come se ci avessero mentito e ora ci
ritrovassimo nudi. Perché i profeti non hanno un piano personale sul quale
portare la discussione. A loro non è concesso di avere motivi intimi di
dissapore con chi che sia. Loro hanno la sola forza ieratica della parola. E
siccome la parola è divina, non la possono tradire rimpicciolendo
improvvisamente il mondo di tutti noi. Io posso decidere che quella tra me e i
C.S.I. è una questione privata. Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni non
ne hanno la facoltà. Loro devono continuare a rilucere come statue classiche: «costrette e decollarsi per un passo
inerte». Poco importa se T.r.e.
mostra la corda di una formula che è sempre stata in equilibrio precario, se è
l'unico disco dei C.S.I. che contiene dei riempitivi (i due punk finali), se
per la prima volta il sapore orientale del disco sa di lustrini da negozio di
souvenir (la filosofia da gossip magazine di Accade). Non mi importa se
a guardarla bene da vicino Bolormaa ha le rughe e non sembra così felice
di contorcersi per il piacere del pubblico pagante. T.r.e. era il tentativo di fermare per sempre il tuffatore nella
sua posa di angelo in volo, rimandando all'infinito lo sfracello al suolo. Che
si è rivelato letale. E di cui porto ancora i segni sul petto.
C.S.I.
Tabula rasa elettrificata
1997
Black Out
01. Unità di produzione
02. Brace
03. Forma e sostanza
04. Vicini
05. Ongii
06. Gobi
07. Bolormaa
08. Accade
09. Matrilineare
10. M'importa 'na sega