Autarchici ed affezionati agli strumenti ad
ancia. I due protagonisti della sesta puntata della nostra rubrica dedicata al
jazz sono i sassofonisti Gianni Mimmo e Stefano Maltese, di cui Alberto
Bazzurro ci racconta uscite discografiche personali e (anche) delle rispettive
etichette. Buon viaggio sull’Arcipelago
Jazz.
Uno sta a Pavia, l’altro a Siracusa. Entrambi sassofonisti,
uno si dedica unicamente al soprano, su cui raccoglie la lezione del grande
Steve Lacy fino a esiti spesso di impressionante aderenza, l’altro è
polistrumentista onnivoro (quindi anche clarinettista e flautista), su un asse
che parte da Eric Dolphy e approda ai grandi chicagoani, Braxton e più ancora
Roscoe Mitchell. Uno si chiama Gianni
Mimmo, l’altro Stefano Maltese.
Cinquantenni, hanno deciso, entrambi nel 2006, di fondare un’etichetta
discografica propria, attraverso cui produrre la loro musica (e quella altrui)
senza condizionamenti. Così Mimmo ha creato la Amirani, che
l’ha finalmente estratto da una situazione di semiclandestinità (discografica,
s’intende), facendolo conoscere e apprezzare su vasta scala; così Maltese, che
con la sua compagna, la cantante Gioconda
Cilio, aveva gestito per anni una coraggiosa rassegna a Siracusa, quando
questa è venuta meno (la rassegna) ha deciso di battezzare nello stesso modo – Labirinti Sonori – l’etichetta
discografica che ne ha raccolto l’eredità.
Per la Amirani, Mimmo (foto sopra) ha pubblicato una quindicina fra cd e dvd che lo vedono spesso coinvolto in prima persona. A fine 2008 è uscita in particolare una sorta di compendio dell’etichetta, On War, con brani (dodici) di un po’ tutti i nomi presenti in catalogo (Iriondo, Calcagnile, Airchamber, Cusa, Contini, Novo Tono, ma anche un senatore come Claudio Fasoli). Vi aleggia uno sperimentalismo di marca molto “contemporanea” (quindi non solo jazzistica), con punte di eccellenza per la minisuite Flight Figure, col solo Mimmo a soffiare nel suo soprano (ma anche, eccezionalmente, in un sax basso), Them, cameristico e concettuale, col trio Airchamber allargato a settetto, Raw, in cui un Fasoli insolitamente aggressivo duetta al tenore col piano di Mario Zara, e ancora il polistrumentale Massive Rising (Pierfrancesco Mucari), Speakin’ Bones, rigoglioso duetto di tromboni, e Persephone, vivace dialogo voce/percussioni.
Se “On War” è iniziazione ideale al pianeta-Amirani, che dire di Standards (Brussels) 2006, che ne costituisce l’ultima uscita? Si tratta di un monumentale box di sei cd a firma di Anthony Braxton, che vi dirige un trio tutto italiano con Alessandro Giachero al piano, Antonio Borghini al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria. L’operazione è semplicemente pazzesca (quindi molto à la Braxton): nel corso di quattro serate (23-26 novembre 2006) al PP Café di Bruxelles, il chicagoano ha riletto la bellezza di trentadue standard (ciò che gli è usuale ormai da una quindicina d’anni – e pure con qualche precedente, per esempio nel ’74 e nell’85 – non di rado in veste di pianista), con una sola ripresa (due takes della shorteriana Virgo) e addirittura trenta autori (si ripetono solo Shorter e Monk, mentre fra gli altri ci sono i grandi songwriters, e poi Parker, Doplhy, George Russell, Desmond, Jobim...), il tutto inframezzato da tre Improvisations. Un tour de force quasi inaudito, insomma. Anche per chi ascolta, visto che Braxton vi suona sempre il sax alto, tranne le tre “impro” e Out to Lunch di Dolphy, probabile vetta dell’opera, in cui passa al sopranino. Vengono del tutto elusi, quindi, i proverbiali strumenti gravi, nonché clarinetti e flauti. Prezioso soprattutto come documento.
Venendo a Maltese, dopo una prima infornata di quattro cd nel
2006, altrettanti ne sono stati editi di recente. Due riguardano lo stesso
polistrumentista. Il primo è All Is
Always Now, con l’Aka Quintet (foto
sotto, con, da sinistra, il trombettista Ivan Cammarata, il batterista Antonio
Moncada, Cilio, Maltese e il bassista Pino Guarrella), segnato da un postbop di
aura dolphyana (ma anche mitchelliana), ora denso, appuntito, spigoloso, ora solenne,
cadenzato, a tratti ritualistico. Un lavoro molto pregevole, così come The Lion Is Dreaming, di cui Maltese
condivide la paternità col pianista inglese Keith Tippett, habitué dei
Labirinti Sonori (intesi come rassegna) e dei suoi artefici. Le formazioni svariano
dal quartetto al nonetto, con i due firmatari e Moncada sempre presenti, e poi Cammarata,
Guarrella, i fratelli Cattano, Gaetano Cristofaro e Alberto Amato. In un clima
globale di marca più squisitamente free,
si segnalano il quasi cameristico Reflective,
in quintetto con Maltese al flauto, e i quartettistici Floating Skies, Night Gate e
Running Stars.
Degno di nota è anche La
gatta nel sacco, album che – come già nella prima infornata – Maltese
destina a un nome nuovo, qui il quarantenne batterista marchigiano Stefano Tesei (tutti suoi i temi), che
vi guida il Test Quintet (con, fra
gli altri, Tony Cattano al trombone). L’orientamento è un mainstream aggiornato
che evidenzia abilità architettonica, a disegnare un album sempre gradevole che
acquista spessore strada facendo.