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Piano e corde sugli scudi

La solita scorpacciata di nuove uscite discografiche. E in mezzo a tanti cd spunta fuori una cassetta…

 

Molto pianoforte nella prima parte di questa nostra puntata estiva. Partendo da tre duetti, il primo, Inquadratura di composizioni (Tuk), alquanto singolare, visto che al piano di Emanuele Sartoris affianca la macchina fotografica di Roberto Cifarelli, in un progetto che ha certamente la sua “pelle” più vera nella dimensione live, dove scorrono le immagini, mentre qui domina ovviamente Sartoris, col suo pianismo educatissimo, di chiara marca classica, molto elegante, ma a tratti anche più irruento, con Cifarelli che si ascolta in qualche fugace parlato o qualche rumore di fondo.

Più canonici gli altri due duetti, entrambi di ubicazione friulana. Il primo, Madeleine (Caligola), coinvolge Claudio Cojaniz, piano, e Alessandro Turchet, contrabbasso, in un dialogare fitto ma lineare, a tratti anche aereo, sempre impeccabile sul piano formale e di un certo spessore espressivo. Il secondo, Così com’è (Setola di Maiale), è invece appannaggio di Giorgio Pacorig al piano e Stefano Giust alla batteria e batte strade più avventurose, quelle dell’improvvisazione senza rete, peraltro con un ammirevole senso della forma e chiari puntelli strutturali messi a punto all’impronta.  

Con basso (Marco Bardoscia) e batteria (Stefano Bagnoli) entrambi accanto al pianoforte, quindi nella formazione più classica del jazz, eccoci poi a Solitude (Tuk), monumentale album triplo del siciliano Dino Rubino, oltre tre ore di musica di estrema eleganza e rigore formale, per carità, ma che verosimilmente non si giustificano in sé e per sé, proponendo situazioni sempre molto simili fra loro. Un peccato di eccessivo narcisismo? Forse sì. Un pizzico di narcisismo appartiene anche a Giovanni Guidi (foto in alto) (ma forse a quasi tutti gli artisti), che però con A New Day (ECM) confeziona un album di estrema eleganza e ottimo climax, molto riconoscibile, personale, nello specifico coadiuvato da tre partner di altissimo livello quali James Brandon Lewis, sax tenore, Thomas Morgan, contrabbasso, e João Lobo, batteria. Uno degli album più ispirati usciti quest’estate.

Un ultimo pianista (almeno per ora), Rosario Di Rosa, scantona invece sull’elettronica e coinvolge i sassofonisti corregionali (siciliani) Stefano Maltese e Carlo Cattano per realizzare Sonic Dialogue # 5, erigendoli di fatto a elementi trainanti dell’incisione, curiosamente edita su cassetta. E visto che siamo entrati una dimensione elettr(on)ica, dedichiamoci ora a una serie di album chitarristici, o comunque a corde. Il primo è Letters (Raighes Factory) dell’emiliano Fabio Mazzini, cd di humus peraltro squisitamente country, in cui l’acustico prevale sull’elettrico, generando un soliloquio di notevole impatto, ottimamente strutturato e in possesso di una sicura linearità espositiva.

Tornando su sentieri jazzistici, una bella sorpresa ci arriva da Theta (Barly) di Ratti, che vuol dire proprio quello, topi, non trattandosi di un cognome, bensì del nome scelto da un trio chitarra, contrabbasso e sax/batteria orientato su un linguaggio assolutamente attuale, per sonorità e clima globale. Senza troppi ringraziamenti a chicchessia. Almeno altrettanto sorprendente è poi In a New Word (Da Vinci) del chitarrista Marco Tiraboschi in un gruppo aperto con – fra gli altri – Javier Girotto, sempre molto incidente, e Marc Ribot. Si tratta di un disco ottimamente costruito, con idee fresche e tracciati sempre congrui, in possesso di una chiara identità. Non è davvero poco.

 

Sorta di chitarra al quadrato, l’arpa non si è mai incontrata granché col linguaggio jazzistico. In Italia c’è Marcella Carboni, che nel suo nuovo cd, Miradas (Giotto/Egea), esplora l’universo compositivo di Enrico Pieranunzi da una prospettiva assai singolare, alla testa di un quartetto il cui cardine è il clarinetto di Gabriele Mirabassi. Tutto prende una piega molto elegiaca, elegante, in punta di penna. Ancora un clarinetto (anche basso) è al centro di Ipazia Live (Caligola) di Mirco Mariottini, album (sempre in quartetto, col ritorno del pianoforte) di maggior tiro e forza propulsiva, senza momenti di pausa. Mariottini veglia ovunque (tutti suoi i brani) e il risultato è eccellente.

Parallelamente, una tromba (Flavio Sigurtà) rileva il clarinetto in un quartetto per il resto identico, con al piano Stefano Onorati, cofirmatario del cd, Extended Singularity (Caligola), album di invidiabile aplomb e rigore formale, elementi che possiamo allargare ad Adagio (Hora) del duo formato da Filippo Vignato al trombone e da un’autentica gloria del jazz americano degli ultimi quarant’anni come Hank Roberts al violoncello. Qui ovviamente l’interscambio è più parco, raccolto, intimo, lambendo crinali decisamente più contemporanei. Una piccola gemma.

Trombone sugli scudi anche negli album che seguono, a partire da Other Interactions… on July 5th (Felmay), cofirmato dal polipercussionista Tiziano Tononi e dal violinista Emanuele Parrini (foto sopra), con al trombone Steve Swell, e poi Roberto Ottaviano al sax soprano e Andrea Grossi al contrabbasso. Come in tutti i dischi facenti capo a Tononi, i percorsi sono densi, spesso vociferanti (qui meno che altrove, invero), con un preciso humus, incline al didascalismo (nel senso migliore del termine). Organico ricco anche in Chi è Antelope Cobbler? (nusica.org) (ci siamo documentati, ma vi lasciamo nel dubbio) anch’esso cofirmato, dal polistrumentista Marco Cesarini e da Henry McLusky (sempre lui), album enigmatico ispirato al cinema di David Linch, peraltro con una pienezza che quest’ultimo non sembra possedere. L’ha realizzato un settetto con, fra gli altri, violino, cello e trombone (appunto). Ottimo lavoro.

Non meno pieno, denso, dei due precedenti, è poi Os caminhos de Garibaldi (Caligola), che nel nome dell’eroe dei due mondi venne inciso da un altro settetto, guidato, qui, dal sasso-clarinettista sardo Enzo Favata (foto sotto) (con ben due tromboni: il già incontrato Vignato e il “senatore” Giancarlo Schiaffini) nel lontano 2011 e solo oggi vede la luce. Chissà perché mai questo iato temporale, visto che si tratta veramente di un signor disco, che alterna brani originali (prevalenti) a riletture di pagine tradizionali, il tutto composto in un’opera di assoluto valore, solidità e compiutezza formale. Dodici elementi, presi però spesso per sottoinsiemi, compongono poi la Dooom Orchestra, che firma Our Sea Lies within (Aut), album felicemente screziato che unisce jazz, folklore e contemporaneità tout court generando un prodotto di grande fascino e ricchezza di contenuti. Un cello e due violini in organico.

E proprio con un album che ha al suo centro un violino chiudiamo questa nostra come sempre trafficata carrellata. Si tratta di Avalon Songs (Caligola) del violinista – appunto – milanese Stefano Zeni, in un singolare quartetto con sax baritono, basso e batteria. Meno singolare – nel senso di originale – il jazz proposto, peraltro di ottima fattura, e a cui la singolarità – e ridagli – dell’organico dà, sotto il profilo sia timbrico che dinamico, una sua abbastanza precisa identità. 

 Foto di Alberto Bazzurro

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