Prima di
quel disco era un artista (quasi) di culto Luciano
Ligabue. E poi, dopo quel disco, non è stata più la stessa cosa. Numeri più
grandi, di vendite e di pubblico ai concerti, che diventano sempre più grandi
eventi di massa, a inseguire in un testa a testa continuo – Correggio contro Zocca
– l’altro nome pesante del rock italiano. Quel disco è Buon Compleanno Elvis, album looser in quanto epopea
tondellianamente rock dell’Emilia e dell’Italia che guarda oltreoceano, ma
anche descrizione di «un mondo da sogno che non c'è più, che non c'è mai stato,
che non ci sarà mai. Ma di cui avremo sempre nostalgia». Racconta tutto Marco
Boscolo.
Di notte, soprattutto certe notti d'estate,
la pianura padana è infinita come il Midwest americano: si apre come una
macchia d'asfalto e zanzare sotto cieli illuminati dalle insegne di balere. E
se hai una macchina, ed è calda, con il motore che romba e fa sudare
ancor più delle birre, sei in paradiso. A differenza di quarant'anni fa, però,
quando la Via Emilia era l'unico confine tra l'Italia e il West, la grande
pianura del 1995 è anche la terra delle autostrade, dell'impero di Autogrill,
delle lingue di catrame che collegano una grande e unica megalopoli, da Rimini
a Piacenza, fatta di Lambrusco e rezdore. Ma l'America è qui, nonostante
il caldo umido che non ti dà fiato, gli inverni fatti di neve e nebbia. Perché
la pianura a metà degli anni Novanta è ancora un sogno di rock'n'roll.
Un sogno grande come il cuore degli emiliani e dei romagnoli, un sogno che non
può essere intaccato dal nord-est delle fabbriche, dalla frenesia lombarda, dal
distacco piemontese. Questa pianura padana è il meridione del Nord, il lembo
più autenticamente sudista d'Europa. Correggio come Memphis.
Buon Compleanno Elvis è l'America-Romagna di Luciano Ligabue, che congeda i marinai che lo avevano accompagnato
fino al precedente “Sopravvissuti e
sopravvivendi” (i Clan Destino), e con una nuova ciurma (la
Banda), novello Cristoforo Colombo, si mette per mare sulla rotta per le Indie
e scopre l'America vicino casa sua, nelle pagine di Pier Vittorio Tondelli (che ti portano dove decidono loro) e
nelle radio che sembrano aver capito chi sei. Ma Luciano con Certe
notti, con Vivo Morto o X, con Hai un momento, Dio? non
diventa soltanto una macchina da hit, uno che riempie San Siro, che vende
milioni di dischi. Ligabue dipinge un'Italia che sta cambiando, un sogno
emiliano-americano che si sta infrangendo. “Buon Compleanno Elvis” è un disco di nostalgia anteriore, di saudade
(e in questo senso è uno dei dischi più meridionali mai scritti da un musicista
del nord dell'Italia), di spleen generazionale. Un disco di rock'n'roll
genuino, senza guizzi, che fa storcere il naso ai fan della prima ora, ma che
parla la lingua degli adolescenti di tutte le età: quelli che hanno 15 anni e
quelli che hanno trenta o cinquant'anni, ma tirano ancora tardi da Mario e in
tutte le bettole d'Italia e del mondo. È il disco che, come dice l'ultimo
brano, chiede leggerezza in un mondo sempre più pesante, sempre più
condizionato dal pensiero unico della televisione, come Luciano aveva già fatto
pasolinianamente notare in A che ora è la fine del mondo?. Viva!
mette tutto nero su bianco, con il linguaggio di chi ha l'imbarazzo e la
necessità di dire dei 13 anni: «Questa
qua è per te / e anche se non è un granché / Ti volevo solo dire / che era qui
in fondo a me / È per te che lo sai / di chi sto parlando dai / e ti piacerà un
minuto / e poi te ne scorderai». Ma è anche un disco scritto per
negazioni: del non tornare presto la sera come gesto rivoluzionario contro il
mito borghese (I ragazzi sono in giro, con la sua intro colta tratta da “Amarcord”, film monumentale di un
altro emiliano-americano: Fellini); di quello che non sei e non sarai mai;
del non dovete badare al cantante, ma alle sue parole.
Quando Ligabue duetta con Pavarotti al Pavarotti
and Friends del 1996 i duri e puri tireranno ancora su col naso, schifati. Ma
quando Luciano viene preso per i fondelli dalla Gialappa's i più attenti
capiscono che le sue canzoni hanno descritto l'Italia contemporanea con maggior
lucidità di qualsiasi editoriale di Angelo Panebianco o Giovanni Sartori,
perché Ligabue, anche quello da macchina da presa, quello che fa l'autore di
libri, non sarà mai un mètre à penser, rimarrà sempre uno di noi, uno
che si può davvero incontrare al bar sotto casa, che è cosciente che lo
spettacolo è fatto di “gente che viene e che va”, senza che – spesso –
rimanga veramente qualcosa, uno che parla la stessa lingua di chi lo ascolta.
L'America nel 1995 si è seduta in riva a un fosso, si è messa a dondolare come
un'auto in cui due ragazzi fanno l'amore, è un biglietto di sola andata per il
cielo (vuoto o pieno, faceva poca differenza), è una chitarra tra le mani e una
canzone in bocca (rigorosamente fuori moda). Ma è anche un mondo in cui lo
sballo come modus vivendi era già in nuce: nelle vene che
raccontano che cosa siamo diventati, nell'andarci giù di brutto un po' troppo
spesso. “Buon Compleanno Elvis”
è un mondo sempre sull'orlo dell'abisso, con il fascino della vertigine. Un
mondo da sogno che non c'è più, che non c'è mai stato, che non ci sarà mai. Ma
di cui avremo sempre nostalgia.