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di Alberto Calandriello Periodo di intensissima attività per l'Associazione Culturale Lilith, punto di riferimento per la cultura a Genova ed in Liguria, che da pochi giorni ha dato il ...

Qual buon vento...

È il vento che spira su diversi dischi che incontriamo oggi, tra formazioni anomale (duetti e trii abbondano come sempre) e non, omaggi e qualche episodio un po’ più usuale

Oggi partiamo con una bella sorpresa: i fratelli Adalberto e Andrea Ferrari, entrambi specialisti del clarinetto basso (ma il primo suona anche il clarinetto canonico, quello contralto e il sax soprano), sotto l’egida Novotono (foto sopra), sfornano un album superlativo, Overlays (Parma Frontiere), in cui riecheggiano veri o solo vaticinati duetti fra i vari Portal, Sclavis, Trovesi, Surman, cioè i massimi maestri in materia. C’è eleganza, rigore e verve. Colore, pienezza e sapienza nel gestire spazi e tempi. Una gemma.
Altri due duetti si muovono su terreni diversissimi, dal precedente e fra loro. Il primo si deve a Walter Prati, basso e cello, e Sergio Armaroli, percussioni, più ampia presenza elettronica, e s’intitola Close (your) Eyes Open Your Mind (Dodicilune). Non tutto fila per il verso giusto, causa una certa prolissità, dispersività e qualche ridondanza. Nel terzo e quarto dei cinque titoli totali (tutti oltre i dieci minuti, anche di un bel po’) i momenti migliori, più vivaci, specie grazie alle percussioni di Armaroli.

In Synchronicities (Caligola) dell’Humpty Duo (Luca Del Sacco e Matteo Mosolo, rispettivamente chitarra e contrabbasso, rigorosamente acustici, qui) tutto quanto nel cd precedente poteva apparire ostico (almeno all’orecchio non avvezzo) e faticoso si fa leggibilissimo, invitante, per quello stesso orecchio. Il fatto è che i pezzi (undici) provengono tutti dal repertorio di Sting, periodo Police e non, e suonano molto letterali (pur senza la voce), fra belle sonorità e un po’ di leggerezza di troppo, magari.
Alquanto strettamente legato a questo è un altro cd edito da Caligola, Nostalgia progressiva, opera di un inedito trio voce/tromba/chitarra (con massiccio rientro in gioco dell’elettronica) forte di Boris Savoldelli, Giorgio Li Calzi e Maurizio Brunod. Qui a esser riletti sono soprattutto i King Crimson (cinque brani su dieci), senza dimenticare Nucleus (due pezzi), Beatles, Kraftwerk, Robert Wyatt e le Orme di Gioco di bimba. Insomma: la nostalgia del titolo è progressive più che progressiva, e quanto si ascolta viaggia dentro e tutt’intorno al materiale prescelto non senza una certa inventiva.

In una sorta di domino che coinvolge anche il prossimo album, la chitarra di Brunod torna in Italian Jazz Book Vol. 1 (UR Records) abbinata al vibrafono di Gabriele Boggio Ferraris e al contrabbasso di Aldo Mella. Anche qui vige il concetto di rilettura, solo che il materiale è tutto di matrice jazzistica e italiana (Rava, D’Andrea, Mandarini e altri, oltre agli stessi Mella e Brunod), il tutto attraversato da un senso di unitarietà veramente ammirevole.

Torna infine Mella (qui sopra) in un ennesimo trio con Luisa Cottifogli, voce, e Massimo Serra, percussioni e altro, in Youlook Trio Capitolo II (USR), che segue il precedente “Desert Island” (con Gigi Biolcati per Serra). I brani sono qui tutti originali, tranne My Favourite Things, di coltraniana memoria, e Com’è profondo il mare di Lucio Dalla (fra gli ospiti c’è anche Sergio Caputo), ma il trattamento è più lieve, meno squisitamente jazzistico, su una spinta, una linea estetica, certo del tutto intenzionali.

Di fatto da trait d’union fra quelle che possiamo idealmente considerare le due parti della nostra puntata odierna funge Landscapes (Dodicilune) di un altro bassista, Roberto Bartoli, che coinvolge cinque musicisti ma è spesso coperto da duetti (Bartoli plus). La cantabilità dei temi, tutti di Bartoli tranne uno di Brassens (un po’ a sorpresa, quanto felice) e due di Charlie Haden, pontefice massimo del contrabbasso, avvicina dunque questo cd ai precedenti quattro, con sonorità ben tornite e un tratto di eleganza costante.

In tema di tributi, eccoci a Barbarella Reloaded (Mode Avant), che nel cinquantenario dell’omonimo film di Roger Vadim con Jane Fonda ne rilegge creativamente il soundtrack ad opera di una sedicente Italian Surf Academy, di fatto un nuovo trio (ma dal vivo c’è anche un videomaker) ruotante attorno alla chitarra di Marco Cappelli con alla batteria quel Francesco Cusa (foto sotto) che all’indomani di questo cd ne ha sfornato un altro, dal titolo che definiremmo mingusiano (il che vale pure per i singoli pezzi), From Sun Ra to Donald Trump (Clean Feed), in quartetto con sax e piano trio. Un album grintoso e vivace, strutturato e in qualche misura magari più “prudente” del previsto, che tuttavia sale di tono (e di livello) strada facendo.
In quartetto con doppio sax, basso e batteria, non manca certo di grinta neppure Mappe (Parco della Musica) di Double Cut (Tracanna-Milesi-Corini-Sala), nelle cui maglie traspira una gran voglia di suonare assieme, che però non si traduce in mera estemporaneità, quanto invece in forme felicemente conchiuse, meditate, facendo veramente quadrare il cerchio entro cui convivono immediatezza e rigore.

Anche quello che viene definito Italian Quintet del grande trombonista americano Glenn Ferris agisce entro questo doppio polo nel recente Animal Love (Improvvisatore Involontario), con i clarinetti di Mirco Mariottini a far da contraltare al trombone, più chitarra e basso elettrici e batteria. Funziona un po’ meno l’immediatezza, ma le composizioni, per lo più di Ferris, sono comunque ben congegnate, equilibrate, con un tono funkeggiante che è forse ciò che ce le rende meno appetitose. Lievemente epidermiche, talora.

Il trombone di Massimo Morganti rinforza per parte sua in alcuni brani di Meetings… (Improvvisatore Involontario) il Late Sense 4et, con vibrafono e marimba al posto di piano o chitarra, anche qui su materiale per lo più autocomposto. Non c’è grandissima originalità (merce rara, del resto), ma il disco funziona degnamente, specie – va da sé – dove più si allontana da certi stilemi, diremmo in particolare nei brani pari, un omaggio a Bill Evans e due pagine di Gaetano Santoro, sassofonista del gruppo.

Siamo in dirittura d’arrivo, con i due album più affollati, il primo dovuto al sestetto internazionale (e di gran “tiro”) Plankton della baritonista, clarinettista e cantante altoatesina Helga Plankensteiner, con tromba, trombone, chitarra, tastiere e batteria. Il cd s’intitola Lieder/Songs (Jazzwerkstatt) e, salvo un paio di eccezioni, rielabora temi (lieder, appunto) di Franz Schubert in un caleidoscopio assai variegato entro cui preferiamo senz’altro i brani solo strumentali, per quanto un dato humour tipicamente mitteleuropeo che alberga negli altri (e non solo) possieda una sua cifra e una sua fragranza.

Chiudiamo con The Last Taxi in Transit (Leo), a nome del pianista dell’Ohio Pat Battstone ma con dentro un paio di notevoli voci nostrane: Giovanna Montecalvo (fra l’altro coautrice, con Battstone, di tutti i brani) e Antonella Chionna. In totale sono in sette ad animare il cd, notevole, svolto in un bel clima partecipe e mai banale, che qua e là ricorda vecchi e gloriosi lavori dei coniugi Tippett (e relativo cenacolo). Chi sa di cosa stiamo parlando capirà, gli altri si fidino: tracciati accidentati, sviluppi spesso imprevedibili, al servizio di un gusto per la sperimentazione che non scade mai nel pretestuoso o nel verboso. Senz’altro da ascoltare.

Foto di Cristina Crippa (Novotono) e Alberto Bazzurro (Mella, Cusa).

 

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