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TRa TRomboni (exTRa-large)

Il trombone (che qualcuno confonde col basso tuba…) è strumento già di per sé imponente: qui lo troviamo inserito – a volte, non sempre – in organici a loro volta imponenti. Cogliamo così la palla al balzo per sondare due pianeti in cui di rado abbiamo occasione di addentrarci.

Taglie decisamente forti, extralarge, oggi, con invischiati un bel po’ di tromboni, leader o ospiti che siano. La nostra odierna puntata tratta infatti album o di respiro orchestrale, o che comunque, in abbinamenti vari, coinvolgono un numero considerevole di musicisti. Partiamo dalla (o comunque una delle) big band per eccellenza della scena jazzistica contemporanea in bianco rosso e verde, la Cosmic Band del trombonista Gianluca Petrella (foto in alto), che ha pubblicato di recente il suo secondo cd, Coming Tomorrow – Part Two (Spacebone), che non fa che ribadire quanto di buono, in termini di amalgama e “tiro”, già si sapeva circa l’orchestra. Prosegue la rilettura del repertorio di Sun Ra (quattro brani, sugli undici complessivi), con episodi più articolati e altri più granitici, e interventi solistici sempre centrati e ottimamente incorniciati dal collettivo.

Quindici elementi (in totale, non ovunque), di cui ben tredici fiati, operano in Likeidos (Amirani) dell’EAOrchestra, con un impatto globale, peraltro, molto meno corposo, massiccio, rispetto alla Cosmic Band (dove i musici sono dieci). Alla base c’è evidentemente una precisa scelta di campo estetica, che vede l’ensemble guidato dal fagottista Alessio Pisani e dal trombettista Mirio Cosottini (tutte loro le nove conductions) privilegiare “isole” sonore più circoscritte, dove i vari solisti (ce ne sono di notevoli, da Mario Arcari a Mirco Guerrini, a Gianni Mimmo) possono stendere le loro volute senza fretta o enfasi “da prestazione”, in un clima spesso di chiara marca cameristico-contemporanea, con timbriche e geometrie curatissime. Davvero un signor disco.

Alcuni dei protagonisti di “Likeidos” (Arcari, Pisani) ritornano in un lavoro tutto sommato piuttosto sorprendente, visto che arriva da un musicista noto soprattutto per le sue collaborazioni di ambito cantautoriale (De Scalzi, Manfredi, Alloisio, ecc.) come il polistrumentista ad ancia Edmondo Romano. In casi del genere, di regola, quando il solista di turno sforna qualcosa di suo tende a navigare piuttosto a pelo d’acqua, magari per far capire quanto è bravo. Non è quanto accade – se non marginalmente – in Sonno Eliso (EdenP/Felmay), che alterna dodici musicisti negli abbinamenti più diversi (tredici brani in tutto), dal sax soprano solo, elegantemente descrittivo, a episodi schiettamente cameristici, talora di profumo etnico. Il tutto sempre costruito e gestito con estrema attenzione e buon gusto.

Un impianto analogo, però lungo sentieri più votati alla sperimentazione, contrassegna If Not (Jèi) del Progetto Guzman, un doppio trio (con, fra gli altri, Angelo Olivieri alla tromba e Silvia Bolognesi al contrabbasso) che rende omaggio alla memoria di Mario Schiano (scomparso nel 2008), del quale sono anche ospitati un paio di sodali storici quali il trombonista (rieccolo, anche in homepage) Giancarlo Schiaffini e il sax-flautista Eugenio Colombo (altrove ci sono la voce di Maria Pia De Vito, in Dicitincello vuje, e il sax alto di Pasquale Innarella). Undici, in totale, i musici coinvolti (ma non si oltrepassa il nonetto), tredici i brani (di cui quattro dell’omaggiato, più la citata Dicitincello vuje e Accarezzame, nel rispetto di quella napoletanità che Schiano ha sempre avuto carissima, ineludibile).

Sempre a organico variabile, coinvolgendo – in questo caso – nove musicisti, è, ancora, Seven (Alfa Music) di Dino e Franco Piana, padre (trombonista, gloriosissimo, nella foto qui sotto) e figlio (trombettista, nonché autore di tutti temi). Si va dal piano solo iniziale (Enrico Pieranunzi) al settetto, avvalendosi di solisti quali Enrico Rava (solo nel conclusivo Step by Step), Fabrizio Bosso, Max Ionata, Roberto Gatto, ecc. Il terreno è più prudente, rispetto agli album precedenti, rifacendosi in qualche modo alla grande tradizione che passa per esempio per i gruppi più o meno allargati di Gerry Mulligan. Grande souplesse ed eleganza, con momenti più quieti e altri più frizzanti.

Coetaneo di Dino Piana (1930), ma da sempre rivolto ben più in avanti, è il flicornista anglo-canadese Kenny Wheeler, col cui recente The Long Waiting (Cam) imbocchiamo l’uscita del nostro percorso odierno, dedicando qualche parola a due cd in tutto e per tutto di nuovo orchestrali dovuti a musicisti stranieri, però largamente di casa in Italia, e coinvolgenti anche solisti nostrani. La band wheeleriana, per esempio, include fra i suoi diciassette elementi la cantante Diana Torto, oltre a nomi storici del jazz inglese quali Ray Warleigh, Stan Sulzmann, Henry Lowther, John Taylor, Chris Laurence. Il tutto, per la verità, non dà sempre gli esiti sperati, visto che gli otto pezzi complessivi, tutti inappuntabili, poggiano su situazioni un po’ sempre uguali a se stesse: sezioni corali piane, lineari, alternate a soli altrettanto rettilinei, in fondo un po’ prevedibili, di regola con Wheeler ad aprire la fila. Proprio la Torto, in tal senso, rappresenta la discriminante più evidente, e come tale preziosa.

E chiudiamo con un altro album non del tutto in linea con le aspettative, vista la statura del suo firmatario, il percussionista (qui compositore) sloveno Zlatko Kaučič, che nel recente Zvočna Polja za T.S. (Radia Slovenija), dedicato alla memoria del giornalista Tomaž Simon, riunisce un megaorganico con tre percussioni, tre chitarre, tastiere, basso, un’intera orchestra d’archi e ospiti (fra cui il pianista friulano Bruno Cesselli), senza poi riuscire a far fruttare convenientemente tutto questo ben di Dio. Dopo una prima parte molto felice, a tratti anche sorprendente, il cd pare infatti come impastoiarsi (e ripetersi), senza quell’originalità che è invece uno dei tratti dominanti dell’arte di Kaučič. Di cui sembra di conseguenza rappresentare un episodio certo ambizioso e imponente, ma non altrettanto significativo negli esiti formali.  

 

Foto di Alberto Bazzurro

 

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